Il femminicidio è affar nostro

Tanti casi di violenza, un unico aspetto comune: la mancanza di rispetto per gli altri esseri umani

scarAOSTA. Immacolata Villani, 31 anni, Napoletana. Laura Petrolito, 20 anni, Siracusana. Due omicidi in due giorni. Femminicidi. Questa la cronaca. Solo nel 2017 sono 114 le donne che hanno perso la vita. Questi i dati.

Ma ai dati sfuggono coloro che ogni giorno vengono sottoposte ad ogni forma di violenza. Sfregiate, picchiate, molestate, perseguitate, stuprate o psicologicamente vessate e umiliate.

I dati e le terribili notizie che ogni giorno si susseguono su questo fenomeno non dicono e non possono dire quanto queste violenze siano ancora più diffuse e ancora troppo ignorate.

Abbiamo corpi, vite e mostri in prima pagina. Storie che ci indignano e scuotono le coscienze, ma ci basta? Certo, sarebbe facile dedurre che sia un fenomeno figlio di un'epoca che non accetta il rifiuto, della crisi dei valori e di una società malata. Facile come pensare che le donne senza diritto di essere vivano in altri Paesi. In realtà la prevaricazione ha origini molto più antiche e certamente molto più vicine a noi. E poco importa se oggi si combatte per la parità dei sessi e l'uguaglianza delle opportunità: non è la diversità il problema, ma il diritto di essere. Umani, essere umani.

In questa cultura d'avanguardia i "mostri" hanno madri, donne anche loro quindi, e padri che senza dubbio condividono con il proprio figlio il fallimento dello scopo primario di un essere umano: il rispetto per gli altri. Perché le violenze non culminano sempre in omicidi efferati, ma cominciano sempre dalla quotidiana noncuranza. Dalla mancanza di esempio e da vuoti culturali, o meglio da impronte culturali sbagliate che persistono senza indugio. In quel sorrisetto al parco giochi quando il bimbo prende di prepotenza i giochi a suon di sberle, in quel "sono bambini" per una parolaccia alla compagna di scuola.

Sì, siamo ancora la terra del delitto d'onore, solo che adesso ha un nome diverso. Adesso ne leggiamo le storie, le denunce e qualche arresto. Ma è davvero cambiato qualcosa? La verità è che ci fa comodo indignarci davanti al declino sociale, ma è molto più difficile ammettere di aver fallito, da figli prima e da genitori poi. Ancora più arduo guardare a queste ragazze come "affar nostro" e chiedersi cosa ancora noi possiamo fare per sentirle ancora più nostre. Non come la figlia del vicino, ma come figlia nostra, cresciuta con lo stesso amore e la stessa devozione, per vedersela strappare via in un attimo, impotenti e straziati da una perdita che non si colmerà mai più.

Possiamo fare molto in effetti, e tutti soprattutto. Intanto, rendendoci carico delle donne e degli uomini di domani. Sradicando ogni radice di prevaricazione da quella generazione che è l'unica di cui saremo responsabili e colpevoli. Non lasciamo che credano che il lupo è solo qualcuno da cui difendersi e non trascuriamo che lupo ci si diventa e può diventarlo chiunque.

Quelle ragazze non hanno incontrato un pazzo, hanno incontrato il frutto delle nostre mancanze e della nostra indifferenza.

Guardatele bene queste donne. Mnon sono solo affar "loro", sono anche affar nostro, eccome se lo sono.

 

Adriana Guzzi

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