Da Mani Pulite a Mafia Capitale: i condizionamenti del potere alla libera informazione

 

Intervista a Giulio Mancini, giornalista di Ostia Lido, uno dei quartieri di Roma più coinvolti in Mafia Capitale

mancini-giuliozingax300I continui attacchi alla libertà di stampa non hanno confini. Quasi ogni giorno assistiamo a chiusure di giornali sgraditi ai vari potenti sparsi nel mondo, alle incarcerazioni di giornalisti, e drammaticamente anche alle eliminazioni fisiche di coloro che come mestiere raccontano quello che accade nella loro società. In Italia fare libera informazione è sempre più difficile le varie testate vengono condizionate economicamente tagliando le risorse finanziarie e pilotando i flussi pubblicitari. Ultimamente stiamo assistendo anche a un pericoloso percorso di fusione di testate giornalistiche, per esempio La Repubblica La Stampa e il Secolo XIX, che porta ad un progressivo impoverimento
del pluralismo di idee e ad una mancanza di confronto politico-culturale.

Anche in Valle d'Aosta la tentazione di condizionare la libera informazione serpeggia tra coloro che hanno anche un briciolo di potere tra le mani. Esempio sconcertante è l'affermazione di un politico in evidenza che nell'ultima Festa della Valle d'Aosta: "Occorre anche una nuova qualità dell'informazione che sia capace di restituire con responsabilità, ai valdostani, il percorso che ci stiamo preparando ad affrontare".

Ho intervistato un giornalista che lavora in prima linea in un territorio colpito da "Mafia Capitale", Ostia Lido, il mare di Roma. Lui è Giulio Mancini responsabile dal 1989 della redazione del litorale di Roma de Il Messaggero. Una testimonianza, la sua, di come sia difficile fare libera informazione in quartiere della Capitale d'Italia che, in teoria, dovrebbe poter vantare una libera stampa in un libero Stato.

Giulio Mancini, 60 anni, è giornalista da 38. Nel suo lungo curriculum ha collezionato 5 anni di radio per diverse testate locali, un anno di collaborazione con il quotidiano L'Occhio di Maurizio Costanzo, sette a Il Tempo e diversi articoli pubblicati per varie riviste di turismo e ambiente.

 

Dal 1989 al 2016, quanta acqua è passata sotto il pontile? Quante cose sono cambiate?

«E' cambiata soprattutto la gente. Ostia è diventata sempre più città-dormitorio, l'economia locale è legata sempre più strettamente agli umori di Roma. Per carità, Roma è la Capitale e non potrebbe essere altrimenti ma l'autonomia ed il decentramento amministrativo si sono via via ridotti riducendo Ostia ad una "colonia" come ai tempi dell'Impero Romano. Le uniche attività che possono dare sostegno all'economia locale sono il turismo mordi e fuggi dei romani che vengono a passare, anche durante la stagione fredda, una giornata al mare a mangiare del pesce nei ristoranti o d'estate a fruire della spiaggia. Lo stesso aeroporto, con tutte le modifiche e le crisi nell'assetto della proprietà e soprattutto della compagnia di bandiera, l'Alitalia, ha prodotto una ricaduta terribile su Ostia che ha sofferto più di altre località i licenziamenti e la precarizzazione, con l'impoverimento del territorio».

Nel 1989, quando hai iniziato l'impegno con Il Messaggero, quanti abitanti contava Ostia?

«Intorno ai 160.000 abitanti. Ora abbiamo superato i 240.000 residenti iscritti all'anagrafe. In realtà sono molti di più perché anche qui si è vissuto un potentissimo flusso immigratorio. La comunità romena e quella musulmana sono le più rappresentate con circa 25mila persone».

Quali variazioni nel fare informazione tra il 1989, quando c'erano comunque tensioni sociali, il problema di Ostia Nuova ed altre sacche di disagio, ed il 2016, con la Municipalità commissariata prima delle dimissioni di Marino per motivi molto pesanti legati alle infiltrazioni mafiose? Come ti sei mosso in questo periodo? Come si fa a fare informazioni? Hai avuto, pressioni o intimidazioni?

«In tutti questi anni il livello di pressione criminale nei confronti dei mass media è immutato. Non sono cambiate le condizioni di criminalità sul territorio: Ostia ha una pesante presenza criminale al pari di molti altri quartieri di Roma. Qui è stata dimostrata la presenza della malavita organizzata – lo scorso anno c'è stata la prima sentenza legata al 416 bis – e ha riguardato il clan Fasciani che, ricordiamo, è presente da almeno 30 anni sul territorio. Diciamo che le condizioni non sono cambiate: probabilmente l'esplosione del caso Mafia Capitale ha reso non più rinviabile la questione delle infiltrazioni della malavita nel tessuto economico e, soprattutto, in quello politico. Ostia è stata commissariata per mafia dopo lo scioglimento del municipio determinato dalla crisi politica del PD che ha registrato l'arresto del suo presidente del municipio, Andrea Tassone, per questioni legate alla corruzione. Ovviamente ci sarà il processo e la giustizia farà il suo corso ma i riflettori sulla presenza criminale a Ostia sono successivi alla crisi politica profonda che ha riguardato il Partito democratico, travolto a Roma dalle questioni legate a Mafia Capitale, con l'arresto di suoi assessori ed esponenti comunali arrestati e, in qualche caso, già condannati con rito direttissimo».

In tutta franchezza: hai mai avuto pressioni per omettere informazioni? Qualcuno che si è arrabbiato perché hai scritto qualcosa che non dovevi? Intimidazioni di qualche natura?

«Sarà paradossale quello che sto per denunciare ma le pressioni più forti, i condizionamenti più forti, le minacce più pesanti, sono arrivate dal mondo politico e non da quello criminale. E questo è successo su entrambi i fronti partitici. Con la maggioranza a guida di centrodestra ho subito, dall'allora presidente Giacomo Vizzani, la proibizione di non poter più entrare all'interno del Municipio per svolgere il mio lavoro. Analoga “attenzione” nei miei confronti è stata riservata dalla Giunta PD di Tassone, con l'invito agli assessori di non comunicare con il sottoscritto se non attraverso le vie ufficiali. Stesso atteggiamento da parte dell'assessore comunale delegato del Litorale e alla Sicurezza Alfonso Sabella, che ha adottato lo stesso sistema: evitare di rilasciare dichiarazioni a giornalisti “sgraditi”, appunto il sottoscritto, come ammette lui stesso in un libro sulla sua esperienza capitolina».

1992, Mani pulite, il crollo di un sistema, arresti, un po' come accaduto con Mafia Capitale. Ma in quel periodo ricevetti le stesse intimidazioni da parte di democristiani, dei socialisti che venivano arrestati o erano veramente due mondi diversi?

«Difficile fare un parallelo con due mondi tanto diversi. Posso sottolineare, e di questo ne vado orgoglioso, che Mani Pulite è esploso proprio qui, un anno prima dell'operazione legata alla Procura di Milano, con l'allora presidente dell'associazione commercianti Piero Morelli ed il comandante Francesco Ferace della Compagnia dei Carabinieri che misero sottosopra l'Amministrazione locale, incriminando diversi consiglieri municipale e impiegati pubblici, arrivando anche allora allo scioglimento dell'amministrazione, cui seguirono i famosi 100 giorni di Marco Pannella come presidente della circoscrizione. E' difficile fare un parallelo perché ci furono arresti per certi versi attesi, clamorosi ma attesi. C'era un malcostume che ormai aveva raggiunto livelli insopportabili. Purtroppo bisogna ammettere che Mani Pulite non ha insegnato nulla e si sia tornato a fare ciò che si faceva allora, ovvero corrompere funzionari dell'Amministrazione, notare lo strapotere politico sempre più legato al mondo degli affari. All'epoca forse la presenza criminale nei gangli dell'Amministrazione era meno sentita, meno palese e meno sfrontata ma oggi, ci insegnano le cronache - aspettiamo gli esiti dei processi che si stanno celebrando - sembrerebbe che la criminalità abbia assoldato pezzi dell'Amministrazione pubblica per i propri affari».

Tu sei giornalista e da decenni rappresenti il quotidiano più letto della Capitale. L'Ordine dei giornalisti cosa fa per difendere i suoi iscritti in una situazione come questa?

«Non molto. E ne pago anche le conseguenze. Al di là di espressioni generiche di solidarietà sul piano concreto e pratico accade ben poco. Ne parlo a ragion veduta perché aspetto dal giugno 2015 che il Consiglio di disciplina dell'Ordine esamini un doppio esposto che ho presentato. E lo stesso succede per altri colleghi che si sono rivolti a quell'organismo. Purtroppo si ha la sensazione che sia uno dei tanti luoghi in cui certe questioni non si affrontano per lassismo o superficialità, senza rendersi conto che ne va della credibilità della categoria e della tutela degli iscritti».

In chiusura ti chiedo: libera informazione in un libero Stato, quanto spazio ancora pensi ci sia per questo principio? E che futuro pensi che avrà la libera informazione, se ne ha in questa Italia?

«Credo molto nell'informazione 2.0, cioè quella forma di comunicazione diretta che si acquisisce attraverso i social network, i blog e le news internet. Credo molto in questa forma di comunicazione perché in qualche modo i giornalisti onesti, i giornalisti che sono affidabili, diventeranno sempre più polo di riferimento e di orientamento per un sempre più numeroso pubblico che accede a quei mezzi. Per il resto, purtroppo, stiamo vivendo un momento molto difficile. L'Italia nell'ultima classifica “Freedom House”, una organizzazione mondiale che monitora il livello di libertà nei mezzi d'informazione, è definito un “paese parzialmente libero” e figura al 31° posto, dopo nazioni come il Ghana (26°), l'Estonia (16°), la Repubblica Ceca (21°), il Costa Rica (17°), Bahamas, Barbados e Tonga,  al pari di Cile e appena prima della Korea del Sud (33°), del Mali e della Mongolia. Ritengo che lo sviluppo dell'informazione 2.0 possa in qualche modo restituire all'utente una visione più a 360 gradi, più libera e meno influenzabile dai poteri forti».

 

Marco Camilli

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