L'insostenibile ossessione del Casinò de la Vallée

L'insostenibile ossessione del Casinò de la Vallée

 

L'immagine della Valle d'Aosta ne esce ancora a pezzi

SAINT-VINCENT. Ed eccoci qui a parlare di bilanci forse truccati, di 140 milioni di presunto danno erariale contestato a quasi tutto il consiglio regionale, di ipotesi di truffa aggravata e di falso in bilancio. Un'intera regione che entra di nuovo nelle cronache dei media nazionali e che ne esce a pezzi. 

Chi salverà ora l'immagine della Vallée? Chi salverà un Casinò che, agonizzando, cerca di difendere i dipendenti dal licenziamento anche se in realtà, dicono le carte degli inquirenti, non ha più la possibilità di tenersi nemmeno la pallina della roulette?

Questa è una storia iniziata tanto tempo fa, fatta di suoni e colori che via via si sono spenti sotto gli occhi increduli dei "big" della politica valdostana che probabilmente non potevano accettare la fine di un mondo in cui i loro "padri" avevano vissuto e gioito. Difficile dire quale sia la colpa più grave: se quella di una classe politica che gestiva il denaro pubblico pensando magari di essere al di sopra di ogni controllo o la sua cecità nel non rendersi conto che quei fiumi di denaro non bastavano per riportare in pista una società finita da tempo fuori strada.

Il vociare, la musica e le scene che animavano una delle più note case da gioco europee sono un lontano ricordo. Ora servirebbe il coraggio di agire e azzerare tutto dando spazio a donne e uomini che, con una grossa dose di buona volontà, possano ridare alla Valle d'Aosta un'immagine positiva, staccata da quella "implosa" del Casinò. Un'immagine che sia vero esempio di autonomia virtuosa, quella di cui si parla tanto nei discorsi ufficiali e che è così lontana dalla realtà che fa parlare i giornali.

I valdostani sono cambiati e non credono più alle favole. Anche perché queste non finiscono con il lupo cattivo sconfitto, bensì con un'idea di isola felice sacrificata sull'altare dell'ossessione di tenere in vita un sistema che non regge più.

 
Marco Camilli

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