Imprese: 16.500 in più tra luglio e settembre ma è boom di fallimenti

Imprese: 16.500 in più tra luglio e settembre ma è boom di fallimenti

Movimprese: il numero di aperture è il più basso degli ultimi 10 anni - Soffre l'artigianato

Chiude in positivo l'anagrafe delle imprese nel terzo trimestre del 2014. Il bilancio demografico dei mesi estivi fra le imprese nate (72.833) e quelle che hanno dichiarato la cessazione delle attività (56.382), termina con un saldo attivo pari a 16.451 unità, quasi 4mila in più rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno. Il tasso di crescita del periodo (+0,3%), però, è il risultato del più basso volume di iscrizioni rilevate nel terzo trimestre dell'anno dal 2005 e uno dei più contenuti volumi di cessazioni del decennio, superato solo nel 2010. È quanto emerge dall'analisi diffusa oggi da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione condotta da InfoCamere a partire dai dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio. Continua la corsa dei fallimenti e l'assottigliamento del tessuto artigiano: sono oltre 10mila i fallimenti registrati nei primi 9 mesi dell'anno, il 19% in più rispetto al dato – già elevato – dell'analogo periodo del 2013. Sul fronte artigiano, per il terzo trimestre consecutivo si registra un saldo negativo tra aperture e chiusure, dovuto soprattutto alla forte riduzione di iscrizioni (record negativo del decennio e oltre 1.000 unità in meno rispetto a quelle, già modeste, registrate nello stesso periodo del 2013).

Sull'aumento dei fallimenti registrato nel trimestre estivo pesa la crisi del commercio, con 685 procedure e un incremento di oltre il 23% rispetto al III trimestre 2013. Numeri importanti, in termini assoluti e di incremento relativo, anche per costruzioni e manifattura: le attività legate al mondo edile, con 610 procedure fallimentari, presentano un aumento del 25% rispetto allo stesso periodo del 2013, mentre l'industria manifatturiera supera i 550 casi e registra un incremento più contenuto, pari al 3,4%. L'aumento delle procedure fallimentari tra giugno e settembre riguarda tutta la Penisola, con tassi ovunque a doppia cifra, ad eccezione del Nord-Est. “I dati indicano il persistere di una fase di stagnazione che sta colpendo il nostro sistema produttivo frenando la spinta a fare impresa e facendo aumentare le attività economiche che portano i libri in Tribunale”, evidenzia il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. “Il tema chiave, per dare nuove gambe allo sviluppo, è creare le condizioni per far ripartire il mercato interno, dal cui rallentamento dipendono le sorti di tante nostre imprese, e sostenere il coraggio e le aspirazioni di tante persone, soprattutto giovani, che vorrebbero mettersi in proprio. Occorre puntare con decisione sulle politiche attive per il lavoro, per far sì che le energie imprenditoriali del Paese possano tradursi in nuove iniziative economiche”.

Le dinamiche territoriali introducono, nel trimestre, modifiche modeste nel sistema delle imprese. Il contributo delle circoscrizioni del Nord al saldo positivo è significativamente inferiore al peso dello stock: 37,99% contro un peso sul totale delle imprese pari al 45,45%. Il Mezzogiorno presenta un sostanziale allineamento: 32,02% il contributo alla formazione del saldo e il 32,89% a quella dello stock. L'eccezione è rappresentata dal Centro (soprattutto grazie alla prestazione del Lazio), che determina il 21,65% dello stock ma spiega il 29,99% del saldo, con una differenza fra le due diverse grandezze pari a 8,34 punti percentuali. Tra le regioni, il risultato più positivo in termini assoluti è quello del Lazio (+3.330 imprese in più tra luglio e settembre), seguito dalla Lombardia (3.184) e dalla Campania (+2.084). In termini relativi il quadro non cambia aspetto e la più “prolifica” regione risulta sempre il Lazio (+0,53%) seguita questa volta da un terzetto ravvicinato composto da Campania (+0,37%), Trentino Alto Adige (+0,36) e Lombardia (+0,34).

L'analisi dei settori evidenzia una maggiore dinamicità della componente che opera nelle attività di servizi alle persone e alle imprese. I dati del trimestre, infatti, mostrano che ai grandi settori produttivi “tradizionali”, agricoltura, manifattura, costruzioni, trasporti e commercio (3.949.731 imprese in totale), si deve il 65,29% dello stock imprenditoriale ma solo il 27,61% del saldo positivo. I restanti tredici settori qualificabili come “attività di servizio” (alle persone o alle imprese) complessivamente mettono insieme uno stock pari a 1.715.097 imprese (il 28,35% del totale) ma hanno generato un saldo pari a 12.092 nuove imprese e contribuito al 71,63% del saldo nazionale. Dinamiche analoghe, ma molto più marcate, si registrano tra le imprese artigiane. In tale universo tre settori (manifattura, costruzioni, trasporto e magazzinaggio) determinano, con 960.343 imprese, il 69,14% dello stock complessivo (1.388.938 unità). I restanti quindici settori, anche questi operanti nell'area dei servizi alle persone o alle imprese (se si escludono l'agricoltura, l'estrazione di minerali, la fornitura di energia elettrica e la fornitura di acqua, dove però la presenza di imprese artigiane è modesta sia in termini assoluti che relativi), determinano, con 427.063 imprese, il 30,75% dello stock, con una variazione positiva pari allo 0,24% a fronte di una variazione complessiva dello stock del -0,07%.

 

Clara Rossi

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