Valle d'Aosta, la maternità di una giovanissima donna e le assistenti sociali

Stampa

maternitàAOSTA. Quella che pubblichiamo di seguito è la terza testimonianza di una persona che ha vissuto sulla propria pelle il rapporto non sempre facile tra le difficoltà umane e una parte delle istituzioni rappresentate nel caso in questione da alcune assistenti sociali.

È una storia a lieto fine e complicata data la giovanissima età della protagonista che si è trovata ad affrontare una maternità improvvisa e tante avversità, potendo però contare su un compagno ed una madre decisi a difendere il loro diritto a costruire una famiglia.

«Nel novembre del '92 mi trasferii dalla Toscana a Villeneuve seguendo mia madre dopo la separazione dei miei genitori. All'epoca frequentavo le scuole medie (ero stata bocciata due anni) e qualche mese dopo il trasferimento conobbi il mio attuale marito e padre dei miei figli, più grande di me di nove anni. Mi innamorai di lui, fu un colpo di fulmine. Due anni dopo durante gli esami di terza media scoprii di essere incinta, ma non dissi nulla a casa. A scuola però si accorsero della mia situazione ed anziché contattare la mia famiglia fecero intervenire i servizi sociali. In quel momento iniziò il calvario mio e della mia famiglia.

Iniziai ad incontrarmi con un'assistente sociale (che oggi si occupa di assistenza agli anziani perché tolta dall'incarico di seguire minori) e con una psicologa (anche lei non svolge più quel ruolo). Sin dall'inizio con loro fu uno scontro continuo su tutto. Mi minacciavano quotidianamente, mi dicevano che non avrei visto mia figlia fino all'affido da parte del Tribunale dei minori. Avevo con loro colloqui quasi giornalieri ed erano sempre pronte a farmi una guerra spietata con un accanimento folle contro di me e la mia famiglia. Al quarto mese di gravidanza arrivai a chiedere di abortire: non reggevo il peso di tutta quella cattiveria. Mio marito però si era assunto sin da subito tutte le responsabilità e io decisi di portare avanti la gravidanza. Furono però i nove mesi più lunghi della mia vita. Un giorno sì e uno no ero obbligata a presentarmi al consultorio per dei colloqui.

La notte del 17 marzo 1995 iniziarono le contrazioni. All'ospedale Beauregard in sala parto c'era mio marito mentre all'esterno l'assistente sociale e la psicologa aspettavano che io partorissi. Quando nacque la mia splendida figlia, mio marito non la perse mai di vista avvertendo che non sarebbe stata portata fuori dall'ospedale sino all'affido. Il giorno dopo mio marito si recò in Comune con un testimone registrandosi come padre, dando il cognome a mia figlia, ed anche come madre visto che io avrei compiuto 16 anni solo qualche mese dopo. Dopo lunghe discussioni in ospedale, uscii da lì assieme a mia figlia

Nei mesi successivi fui aiutata da mia madre a crescere la bambina e anche lei fu coinvolta in questa guerra con le assistenti e la psicologa. Al consultorio dove portavo la bimba per le visite e il controllo sul peso insistevano nel dirmi che dovevo somministrare solo latte materno, che però io non avevo. Su consiglio di un pediatra consultato in privato, mia madre e mio marito decisero di prendere del latte artificiale che iniziai a dare alla bambina di nascosto. Lei così cominciò ad aumentare di peso, ma non era abbastanza per le assistenti. Ci sarebbero tante cose da raccontare. Ogni giorno per esempio in tre entravano in casa per controllare se era pulita, passavano le dita sui mobili, ed un giorno minacciarono di mandarmi i carabinieri a casa se non avessi portato la bambina alla visita di controllo nonostante la notte avesse nevicato molto rendendomi difficile raggiungere il consultorio.

Nel tempo abbiamo affrontato tanti viaggi da Aosta a Torino, al Tribunale dei minori, ed abbiamo sentito diversi giudici coinvolgendo anche mio padre e mia sorella che vivevano ancora in Toscana.

Dopo mesi di battaglie, quando mia figlia aveva 8 mesi, ricevetti una lettera in cui mi comunicarono che avevano tolto la patria potestà a mio marito: fu la goccia che fece traboccare il vaso. Decidemmo di metterci in contatto con Maria De Filippi e Maurizio Costanzo che ci invitarono a Roma per approfondire la nostra situazione. Al rientro da Roma, venuti a conoscenza di tutte una serie di informazioni, ci recammo al Tribunale dei minori a Torino: scoprimmo relazioni false e mendaci redatte dagli assistenti e, considerata la sofferenza patita negli ultimi 18 mesi, alla fine ottenni l'autorizzazione a sposarmi

Ancora oggi fa molto male rivivere quel periodo della mia vita. Anziché fornire assistenza, i servizi sociali rischiarono di distruggere la mia famiglia. Ancora oggi tante donne separate in difficoltà non chiedono aiuto temendo per i loro figli. Ci sarebbero molte cose da approfondire sul funzionamento di questo sistema».

 

 

Sono numerose le testimonianze simili a questa che stiamo ricevendo in redazione. Siamo disponibili ovviamente a pubblicare anche la voce di coloro che si comportano con estrema professionalità e che ci vogliano raccontare la difficile e utile professione dell'assistente sociale.

 

 

 

Marco Camilli