Arvier commemora il 70° anniversario dell'eccidio di Leverogne

Arvier commemora il 70° anniversario dell'eccidio di Leverogne

ARVIER. «Sono ormai trascorsi 70 anni da quei tragici eventi, ma la comunità di Leverogne non ha mai dimenticato». Così Mauro Lucianaz, sindaco di Arvier, in vista della cerimonia di commemorazione della rappresaglia nazi-fascista che il 13 settembre 1944 causò la morte di 13 persone e la distruzione di una parte dell'abitato.

In occasione dell'anniversario ad Arvier è stata organizzata una giornata di eventi per ricordare l'eccidio. Alle 10.30 sul piazzale dell'Hotel Col du Mont sarà celebrata la Santa Messa ed alle 11.30 si svolgerà la deposizione di una corona al Monumento dei Caduti con i discorsi celebrativi delle autorità e la presentazione del volume "Leverogne 13 settembre 1944", realizzato dalla Pro loco di Arvier nel 1994 e ristampato per l'occasione. Nel pomeriggio poi, a partire dalle ore 15 (con replica alle 16 e alle 17), si terrà lo spettacolo itinerante "Leverogne 1944: voci, suoni, racconti e volti" con la narrazione di Paola Corti della compagnia Teatro del Mondo e le musiche dei percussionisti dell'associazione Tamtando.

La cerimonia rappresenterà il punto di conclusione del progetto "Un parcours dans la mémoire" realizzato dal Comune e dalla biblioteca di Arvier e dalla Fondazione Emile Chanoux con il sostegno del Consiglio regionale. «Ciò che non deve mai mutare è il ricordo di vicende che non si devono ripetere, di sofferenze che non devono più essere patite» commenta il presidente del Consiglio Valle Marco Viérin ricordando la legge promulgata lo scorso anno sul 70° anniversario della Resistenza e dell'Autonomia.

«La vicenda di Leverogne ci riporta agli esiti del fascismo e del nazismo, quando dentro la conflittualità della guerra totale, la parte che detiene l'autorità, solo con la legittimità della forza, finisce per esercitare sui civili ogni sorta di ingiustizie di violenza. Ci auguriamo che la riflessione sulla negatività delle dittature e dei totalitarismi sia utile per le nuove generazioni».

Questi i fatti così come raccontati da Roberto Nicco ne "La Resistenza in Valle d'Aosta" (Musumeci, 1995): «Nella notte tra il 12 e il 13 settembre, matura la tragedia. Un milite ed un agente in borghese sono in servizio a poca distanza dall'albergo Col du Mont, sede del distaccamento. All'1.30, giunta l'ora del cambio del turno di guardia, i due aspettano invano la sostituzione. Indispettiti, sparano alcuni colpi verso l'albergo. I militi che vi sono accasermati pensano ad un attacco dei partigiani e rispondono al fuoco, colpendo a morte i loro due commilitoni. Frattanto l'addetto al mortaio incomincia anch'egli a sparare, ma nell'inserire un proiettile si ferisce gravemente alle gambe. Resisi conto dell'errore commesso, i militi, per giustificarsi di fronte ai propri superiori asseriscono di essere effettivamente stati attaccati dai partigiani. La mattina giungono in loco da Villeneuve reparti fascisti al comando del tenente tedesco Planer. Immediata scatta la rappresaglia, assurda, feroce, disumana. I militi sono sguinzagliati con l'ordine di rastrellare tutti gli uomini del villaggio. Alcuni, presumendo il peggio si sono allontanati in tempo sulle montagne circostanti, parecchi altri vengono invece fermati, chi in casa, chi nelle strade, e portati all'albergo Col du Mont. Lì, il tenente tedesco ed un sergente italiano controllano i documenti dei prigionieri: il segretario comunale, due agenti della questura sono rilasciati; Beniamino Godioz, Luigi Chiudinelli, Giuliano Pellissier, Giuseppe Ravet, Antonio Glarey, Ernesto Cuc, Gaetano Gallo, Emilio Clusaz, Maurizio Glarey, Casimiro Bertin, Amerigo Pertile, Enrico Perretti ed Arturo Junin sono invece fatti allineare contro una baracca di legno, alcuni dopo essere stati ferocemente percossi. Giuseppe Godioz, vedendo il padre Beniamino tra i fucilandi, ne prende posto. Intanto, mentre i militi fanno a gara del plotone di esecuzione, Junin, con un balzo, si getta lungo una scarpata verso la Dora e, nonostante il fuoco dei militi, riesce ad allontanarsi e a salvarsi. Per tutti gli altri è la morte. Nei pressi del Col du Mont è ucciso da una raffica di mitragliatrice anche Giuseppe Serafino Duc. Nel frattempo parte di Leverogne e le frazioni Chez-les-Garin e Rochefort sono messe a fuoco: 54 case, dopo essere state svaligiate, vengono incendiate e distrutte in un susseguirsi di episodi di crudeltà. Tra i familiari delle vittime, inorriditi da tanta ferocia, c'è chi impazzisce e chi si lascia morire di inedia.»

 

Marco Camilli

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