Credit default swaps, C'è un indice che afferma che l'Italia può fallire

Il dato evidenzia una probabilità di default dello 0,55% (a un anno), dell'8,17 (a cinque anni) e del 23,64 (a dieci anni)

trendx300Il debito pubblico italiano torna a salire, ad ottobre, a 2.157,5 miliardi, più 23,5 su settembre. Non si riesce dunque a mettere l'indebitamento sotto controllo e questo è un guaio serio per il governo che ha per ora evitato l'apertura di una procedura d'infrazione da Bruxelles; ma solo fino a marzo quando la Commissione esaminerà lo stato di avanzamento delle riforme. Il fatto di essere in compagnia della Francia non può essere né un alibi né un paravento. La scarsa propensione riformista di Parigi è nota, però i francesi sono messi di gran lunga meglio sotto il profilo della fiducia che i mercati continuano ad accordare ai loro titoli pubblici (anche là il debito ha superato i 2 mila miliardi di euro, ma in rapporto al Pil è al 92% contro il 132 dell'Italia), e questo per una serie di motivi: lo spread italiano oscilla intorno a 140 punti, quello francese è di 27; gli interessi che il Tesoro paga sui decennali sono qui il 2,04%, comunque ai minimi, a Parigi lo 0,9. Il rating assegnato all'Italia è in area B (ad eccezione dell'agenzia canadese DRBS che ci assegna A-low), quello della Francia, benché declassato, inalbera come minimo doppie A.

Diciamo che il buon trattamento riservato da mesi all'Italia sui mercati è dovuto più alle iniziative e agli annunci della Banca centrale europea che non ai meriti del Paese. E, forse, se Mario Draghi metterà in atto a gennaio l'acquisto di titoli pubblici, il costo del debito diminuirà ancora. Ma non calerà l'enorme stock del debito stesso. C'è poi un altro indicatore, spesso trascurato, che inquadra la percezione dell'Italia da parte degli operatori internazionale. Si tratta dei Cds, Credit default swaps, certificati assicurativi per chi investe sui titoli pubblici dei vari paesi. In pratica, sono polizze anti-default, totale o parziale. Sono quotate su un mercato particolare e rilevate soprattutto da Markit, agenzia di brokeraggio,il cui dato è noto anche come "indice della paura". Infatti più elevato è il prezzo dei Cds, maggiore è l'eventualità di default.

Ebbene, in questo momento i Cds italiani sono di 35 punti su un anno, di 118 su cinque, di 194 su dieci. Il che equivale a una probabilità di default rispettivamente dello 0,55%, dell'8,17, del 23,64. La Spagna ha queste percentuali: 0,35 su un anno, 5,69 su cinque, 16,3 su dieci. La Francia lo 0,12, il 2,25, l'8,91. Il paese considerato più sicuro non è la Germania (percentuali di default dello 0,02, dello 0,08, del 2,49) ma gli Stati Uniti: rischio dello 0,1 su un anno, dello 0,06 su cinque, dello 0,47 su dieci anni. Il motivo è semplice: la Federal Reserve, la banca centrale americana, ha più strumenti di difesa della Bce.

Negli anni più duri della crisi europea il Cds italiani erano ancora più cari: nel 2009 toccarono quota 200, nel 2011 i 450 punti. Ma, appunto, non si era aperto l'ombrello della Bce. E nonostante il calo dei Cds, il fatto che i mercati ci assegnino, sia pure in via teorica, poco meno delle probabilità di default da qui a dieci anni del Brasile (29,49%) o del Portogallo (29,71) non è precisamente una medaglia. Anche se va detto che sui cinque anni il rapporto è migliore. Per inciso: il paese tra i maggiori più a rischio default è in questo momento la Grecia (13,09% di probabilità a un anno, 47,16 a cinque, 67,84 a dieci), seguito dalla Russia: 6,45% a un anno, 27,52 a cinque, 43,75 a dieci. Entrambi hanno già visto il default negli ultimi anni, segno che l'indice della paura non è così teorico.

 

Clara Rossi

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