Hikikomori: quando il distanziamento sociale non è più dettato dalla pandemia

 

Hikikomori: quando il distanziamento sociale non è più dettato dalla pandemia

Mi è capitato più di una volta che, da “intervistatrice”, sono diventata “intervistata”. Due settimane fa, infatti, sono stata invitata a registrare una puntata di un podcast dedicata al tema della salute mentale.

Tra le domande che mi sono state rivolte, ce n’era una relativa agli hikikomori. Per chi non lo sapesse, un hikikomori è una persona che ha scelto di rinunciare alla propria vita sociale o, più precisamente, alla propria vita… quasi per intero.

Hikikomori è un termine giapponese perché il fenomeno è nato nella Terra del Sole Nascente o, se preferite, nel Paese del Sol Levante durante la seconda metà degli anni ’80 del ‘900 e, all’inizio del XXI secolo, si è diffuso anche in America e in Europa.

Non esiste alcun “censimento” relativo al numero di hikikomori in Italia, ma la stima più recente ne conta circa 100mila nel nostro Paese.

Il fenomeno giapponese di nascita, che si è diffuso a macchia d’olio nel resto del mondo (o, almeno, in quella parte di mondo considerata – a torto o a ragione – più industrializzata), ai giorni nostri rappresenta una vera e propria patologia.

Se, infatti, l’uomo è stato definito un “animale sociale” dal filosofo greco Aristotele, la tendenza degli umani ad aggregarsi tra loro e a costituire delle comunità è venuta meno con il trascorrere dei secoli.

Come spesso accade, non è facile individuare delle cause ben precise che hanno portato alla disgregazione delle società, ma è indubbio che la sempre più forte competizione sociale, oltre che l’espansione incontrollata della realtà virtuale, abbiano condotto più velocemente all’origine di un individualismo malsano.

Se, da un lato, le città risultano alienanti, non è più così tanto vero che nei piccoli centri a misura d’uomo le comunità siano compatte come lo erano (forse) una volta.

Nel caso specifico di un individuo – di solito compreso nella fascia d’età che va dai 15 ai 30 anni – che si è ritirato a “vita privata” tra le quattro mura di una camera da cui non esce quasi mai e all’interno della quale si collega al resto del mondo tramite un computer e una connessione a internet, si annida spesso la presenza di disturbi mentali.

Si parla della più “comune” depressione, passando per disturbi ossessivo-compulsivi, fino ad arrivare a dei veri e propri disturbi della personalità.

Anche in questo caso, gli anni della pandemia hanno giocato un ruolo fondamentale. L’isolamento a cui sono stati costretti i giovanissimi con la didattica a distanza, per esempio, ha fatto sì che molti di loro preferissero non tornare più tra i banchi di scuola una volta passata l’emergenza vera e propria.

Nel caso degli studenti, inoltre, sono state pure le più alte aspettative da parte di alcune famiglie e i sempre più dilaganti episodi di bullismo e di cyberbullismo a comportare ancora più numerose decisioni di rimanere in disparte rispetto agli altri.

Il problema più grave è rappresentato dalla possibilità che queste scelte adolescenziali si cronicizzino nel tempo e lascino che i più giovani diventino adulti continuando a mantenere il proprio isolamento fino a trasformarlo nel proprio stile di vita.

Abbracciarlo sembra essere la via di fuga di tante persone che non riescono più a stare in mezzo agli altri. Quasi come se diventassero degli “eremiti 2.0”.

Nel 2017, a Nerviano (in provincia di Milano), è nata l’associazione Hikikomori Italia, con l’obiettivo di creare una rete di professionisti ed enti interessati al tema dell’isolamento sociale volontario e cronico da parte dei giovani.

L’associazione organizza eventi formativi in tutto il Paese, ma anche gruppi di auto e mutuo aiuto dedicati ai genitori e offre un supporto psicologico gratuito ai soggetti isolati.

Sul sito web dell’associazione si legge, inoltre: “L’associazione si propone di contrastare e ridurre l’isolamento sociale volontario e tutte le problematiche potenzialmente connesse (come la fobia sociale, l’abbandono scolastico, la dipendenza dalle nuove tecnologie, sindromi ansioso-depressive) attraverso azioni d’informazione e sensibilizzazione, supporto diretto, consulenza e formazione”.

In tempi di dichiarazione dei redditi, se desiderate dare loro una mano d’aiuto, potete devolvere il vostro 5xmille all’associazione. Trovate il numero del codice fiscale da indicare sulla vostra dichiarazione, oltre che tante altre informazioni sulle attività dell’associazione, collegandovi a hikikomoriitalia.it

 

Barbara Giangravè
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