Chi controlla le case famiglia e le comunità per minori?

 

Quando la madre denuncia (quasi sempre senza nessun riscontro oggettivo) il padre di violenza su di lei e sui figli, con estrema facilità i minori vengono allontanati dalla casa familiare assieme alla madre, all’insaputa del genitore accusato dall’altro (come esecuzione del provvedimento che dispone la misura cautelare), per essere collocati in casa famiglia (dove si ospitano, di solito, con la genitrice) o in comunità.

Questo accade assai frequentemente in Valle d’Aosta arrivando, addirittura, a collocarli in comunità extraregionali. Un esempio? Un padre rientrato a casa dal lavoro non ha più trovato i tre figli e la moglie poiché la madre con l’approvazione dei servizi sociali – forse consigliata dagli stessi che le avevano detto di non far vedere i figli all’altro genitore, se avesse scoperto dove si trovassero - era andata in vacanza da una amica fuori regione all’insaputa del padre. Al rientro, poi, i figli non sono tornati a casa dove viveva anche il padre ma sono stati collocati in una comunità protetta locale e la madre si è rifiutata di seguirli. Il padre, una volta che i figli sono tornati a casa, pur separato, era ed è l’unica fonte di sussistenza economica ed educativa dei figli nonostante collocati presso la madre che, sistematicamente, rifiuta il lavoro. La madre, impegnata continuamente a chattare, quando esce da casa non per andare a lavorare ma per incontrare gli amici che ha conosciuto in rete, lascia una figlia con handicap alla sorellina di sei anni. I servizi sociali lo sanno, non intervengono e rigorosamente tacciono per non dispiacere a qualche lobby.

L’ente locale, con molta superficialità, evita di disporre severi controlli sulla gestione di queste strutture - sia regionali che extraregionali e tutte pagate saporitamente con i soldi pubblici - che, troppo spesso, rispondono a sollecitazioni economiche piuttosto che alla sbandierata solidarietà sociale ed umanitaria. Nessuno verifica nemmeno l’operato dei singoli operatori e le loro qualifiche professionali.

Occorre precisare che l’allontanamento dalla casa familiare e dall’altro genitore viene disposto dalle autorità giudiziarie, senza aver prima attentamente valutato (in applicazione di procedimenti sommari, cioè superficiali, e con la possibilità, quindi, per le autorità giudiziarie competenti, di sbagliare, vista la celerità con cui devono decidere provvisoriamente e, quasi sempre, senza prove a disposizione), in tempi brevi, e sentito il genitore nei confronti dei quali viene eseguita la misura cautelare, la veridicità delle denunce materne, che, troppo spesso, sono strumentali e funzionali all’affido esclusivo dei minori al soggetto denunciante, come i fatti, purtroppo, con molta frequenza dimostrano.

Molti genitori (in futuro non collocatari), ritornando a casa dal lavoro, non ci trovano più l’altro genitore (in futuro collocatario prevalentemente) ed i figli e vana risulterà l’attesa, poiché la madre non risponde al cellulare e le forze dell’ordine, informate della loro assenza da casa, forniscono spiegazioni vaghe, senza comunicare dove si trovino (per l’esecuzione delle misure cautelari di cui sopra). Indifferenti alle preoccupazioni del genitore paterno, i militi, pur conoscendo la collocazione “provvisoria” della madre e dei figli fatto su indicazione dei servizi sociali, in una casa famiglia o, molto spesso, in una delle tante comunità protette sparse sul territorio, sono muti e invitano il malcapitato padre ad avere pazienza. Pazienza di che cosa? Di una ingiustizia?

Tacciono anche i servizi sociali, interpellati dal padre, che dovrà attendere, talvolta anche mesi, prima di conoscere dove si trovino i figli ed essere informato sulle accuse che la ex moglie o compagna gli hanno rivolto.

In nome di una discutibile “precauzione” o, forse, in nome di un consolidato pregiudizio di genere, il padre viene trattato come un pericoloso malfattore. Succede, molto spesso, che poi, dopo mesi e mesi, il “pericoloso” genitore viene scagionato dalle accuse della madre dei suoi figli, che, in alcuni casi, vengono collocati prevalentemente presso di lui. Qualcuno dirà che, in questi casi, ha vinto la giustizia.

Ma di quale giustizia parliamo quando a dei minori è stato impedito, improvvisamente e senza alcuna motivazione, la presenza del padre e al padre sono stati negati, senza alcuna provata ragione, i diritti genitoriali? Un interrogativo a cui dovrebbero dare una “provata” ed estremamente celere (cioè, nell’arco di pochissimi giorni) risposta i servizi sociali, i tribunali ordinari e minorili, le forze dell’ordine e i legali che assistono la madre, senza porsi dovuti interrogativi.

Ciò potrà avvenire solo se qualcuno (politici) si degna di modificare le procedure al fine di renderle estremamente celeri, cioè facendo in maniera tale per cui la fase cautelare dei procedimenti e la successiva prima udienza si concludano nell’arco di pochi giorni.

La gestione delle case famiglia e delle comunità è affidata a cooperative sociali, vicino ai servizi sociali e, troppo spesso, anche ai politici e amministratori locali, a cui compete, per legge, un serrato e approfondimento controllo proprio per la particolarità del ruolo – ben pagato con soldi pubblici – svolto da queste strutture nel settore minorile.

Il controllo deve verificare la posizione occupazionale dei tanti dipendenti, “volontari”, le loro qualifiche professionali, i ruoli realmente svolti dagli animatori o formatori, la posizione di tutti coloro che operano nella struttura e dei programmi psico-pedagogici attuati per gli ospiti minori. La magistratura dovrebbe anche fare chiarezza sulla proprietà di tante “riservate o segrete” case famiglia e/o comunità sociali, spesso riconducibili a lobby politiche ed economiche o a specifici politici.
Il business delle lobby che speculano sui minori e sulle false accuse è molto forte e può condizionare la politica ed anche la stampa, che, quasi mai, rende pubbliche le denunce del genitore vittima di possibili raggiri noti a tutti.

Il controllo sull’operato delle associazioni, quasi sempre centri antiviolenza, e delle cooperative a loro collegate che gestiscono queste particolari comunità spetta agli enti locali (comune, provincia e regioni) e all’Asl, che dovrebbero vigilare sul rispetto delle esigenze dei minori, sull’applicazione del regolamento della comunità e verificare se chi lavora in queste strutture possiede il titolo professionale richiesto e se le strutture possiedono e/o utilizzano tutte strutture a norma di legge, dotate delle relative certificazioni.

C’è da chiedersi perché i controlli, nelle rare volte che sono disposti, invece di affidarli a professionisti esterni all’ente locale e all’Asl di appartenenza della comunità vengono fatti “in casa”. Non esistono, purtroppo, nemmeno controlli sulle case famiglie e sul personale che vi opera, spesso senza specifica competenza.

La Regione e gli altri enti coinvolti devono muoversi con molta fretta e rendere pubblici bilanci e costi, troppo esosi e spesso ingiustificati, di queste strutture, che si moltiplicano senza necessità e, quasi sempre, per ragioni di business, cioè per i soldi.

Anche in Valle, come fatto dalla vicina regione del Piemonte, occorre dire definitivamente basta alla sottrazione dei minori ai genitori con il loro affido etero-familiare, perché vivono in una famiglia con difficoltà esistenziali ed economiche, approvando una legge come quella su Allontanamento zero.

Il primo e immediato provvedimento è quello di rendere pubblici i bilanci della case famiglia e/o protette sui siti delle istituzioni pubbliche, di imporre a queste istituzioni, in attesa della loro eliminazione, l’assunzione di personale con specifica professionalità e mettere mano immediatamente ad una legge specifica che ribadisca quanto previsto dalla legge del Piemonte. Con l’Allontanamento zero, si possono aiutare economicamente e culturalmente proprio le famiglie a cui vengono sottratti i figli minori per queste carenze. Allontanamento zero vuol dire rispetto dei minori e dei loro genitori ma anche rapida e profonda trasformazione dei servizi sociali e delle strutture preposte alla tutela del superiore interesse dei minori e, fondamentale, vuol dire controlli continui e specifici sul loro operato fatto da personale specializzato di fuori regione.

Tutto ciò sarà possibile, però, se la politica sarà a servizio del cittadino e della democrazia ma non delle lobby.



Ubaldo Valentini, presidente Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps)
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