Salute mentale, questa sconosciuta: perché è ancora tabù parlarne in Italia?

Barbara Giangravè

Prende il via oggi una nuova rubrica su Aostaoggi.it: (In)Sani di Mente. In questo spazio ogni settimana Barbara Giangravè parlerà del delicato tema della salute mentale.

 

Dal profondo Sud, dove mi trovo io, al profondo Nord, dove vivete Voi lettori di “Aostaoggi.it”. Per me è stato un grande onore ricevere l’invito del direttore editoriale di questo giornale, Marco Camilli, a scrivere per questa nuova rubrica: “(In)sanità mentale”.
E il motivo è presto detto.

Sono una giornalista e scrittrice siciliana. Nata e cresciuta a Palermo, da qualche anno ho lasciato il capoluogo e mi sono trasferita in uno dei “Borghi più Belli d’Italia”: Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa. Ho cambiato radicalmente abitudini, lavori, relazioni, vita… ma non ho mai smesso di scrivere.

Da un paio d’anni, in particolare, mi occupo di salute mentale. Me ne occupo perché ho cominciato a scriverne. E, per farlo, ho attinto a piene mani da esperienze che ho vissuto sia in prima persona che tramite altre persone.

Nella mia famiglia nucleare e in quella più allargata, più di un componente ha sofferto di disturbi psicologi/psichiatrici. Negli anni in cui, in Italia, erano ancora aperti i manicomi ed era tragicamente molto facile entrarvi, un mio prozio materno fu internato a causa di quello che, oggi, avrebbe potuto essere diagnosticato come un esaurimento nervoso.

Non era così, purtroppo, negli anni del Secondo Dopoguerra. E la sciagurata decisione dei suoi genitori, ha condotto quest’uomo tra le quattro mura di un luogo all’interno del quale nessuno della famiglia è mai entrato e, quindi, ha mai saputo a cosa fosse stato sottoposto.

Quando, nel 1978, la Legge Basaglia sancì la chiusura dei manicomi in tutta la Penisola, Paolo – questo era il suo nome – non fu in grado di reinserirsi nella società e trascorse il resto della sua vita abitando in una vecchia masseria di campagna, in compagnia del suo fedele cane.

La sua figura era ammantata di un alone di mistero che, quando ero bambina, mi attraeva e mi terrorizzava allo stesso tempo. Lui era lo “zio pazzo” e, in quanto tale, pericoloso. Anche se, in realtà, era un uomo che aveva subito chissà quali atrocità e che, per questo, aveva paura degli altri.

Ogni volta che sentiva il rumore di un’automobile che si inerpicava per la trazzera che conduceva alla sua casa, scappava. Era una sorta di fantasma, perché era lui ad avere paura della gente… mentre alla gente avevano “insegnato” ad avere paura di lui.

Il nostro Paese è tristemente pieno di storie simili alla sua. Quello che era il “vecchio manicomio” della mia città, Palermo – per esempio – è una delle sedi dell’Azienda Sanitaria Provinciale. Si tratta di una sorta di “cittadella” nella città e, in anni passati, dato che al suo interno si trova un grande campo da calcio, è stato meta di scolaresche accompagnate dagli insegnanti di educazione fisica per fare attività motoria all’aperto ed è stato utilizzato dalla società di rugby per svolgere gli allenamenti delle squadre under 18.

Non era difficile, quindi, incontrarvi passati ospiti della struttura che, colti impreparati dalla chiusura dell’unica casa (o quasi) avessero mai conosciuto, continuavano a stazionarvi. Pure loro, allo stesso modo del mio prozio Paolo, come se fossero dei fantasmi.

Personalmente, da dieci anni a questa parte, anch’io viaggio sulle “montagne russe” di un disturbo psicologico e psichico. La depressione. All’inizio, la prima persona a non volerlo accettare ero proprio io. Nel corso di questi lunghissimi dieci anni, ho combattuto e perso tante di quelle volte che ho finito con l’arrendermi alla mia condizione. Ma non nel senso di alzare bandiera bianca. Tutt’altro. Con questa malattia si può convivere. Per tenerla a bada ci sono psicoterapia e psichiatria, ma cominciare parlarne a cuore aperto mi ha tolto un grosso peso dallo stomaco.

Lo scorso ottobre, l’Assemblea Regionale Siciliana ha votato all’unanimità un disegno di legge per l’istituzione dello psicologo di base. Una figura “sanitaria” alla portata di tutti, come quella del medico di base insomma. Dal mio punto di vista si tratta soltanto del primo passo effettuato nella battaglia di civiltà che deve essere condotta a livello nazionale: da Sud a Nord, isole comprese.

Per questo motivo, è mia intenzione informarmi e informarVi sullo “stato dell’arte”, affinché dalle “promesse” si passi ai “fatti”. Spero che questo primo pezzo, nell’ambito dello spazio che mi è stato gentilmente concesso, sia l’inizio di una lunga e proficua alleanza tra Voi e me. Nell’interesse di tutti.

E – nonostante abbia disattivato i miei canali social, proprio per tutelare la mia salute mentale – chiunque abbia il piacere di confrontarsi direttamente con me su questo tema può scrivermi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

A presto!

 

Barbara Giangravè

 

Pin It

 

-  STRUMENTI
app mobile

 

Società editrice: Italiashop.net di Camilli Marco
registrata al Tribunale di Aosta N° 01/05 del 21 Gennaio 2005
P.IVA 01000080075