Valle d'Aosta e 'ndrangheta: presenza da molti ignorata, ma che bisogna conoscere

Inizia oggi una collaborazione con Cesare Neroni, ex Carabiniere con 37 anni di servizio come Luogotenente nel Nucleo investigativo di Aosta, alla scoperta di una realtà  - quella della 'ndrangheta - che nel tempo ha messo radici in Valle d'Aosta, contaminando vari settori della società. 

 

Valle d'Aosta e 'ndrangheta: presenza da molti ignorata, ma che bisogna conoscere

Con l'indagine Geenna, qualunque sarà il suo epilogo, in Valle d'Aosta non sarà più possibile scrivere e dichiarare che il fenomeno mafioso non esiste e, soprattutto, che non è mai esistito.

L'esito del processo riguarderà la posizione dei singoli indagati che, come è stato più volte ricordato dall'art 27 comma 2 della Costituzione Italiana, sancisce la presunzione d'innocenza fino a sentenza definitiva (che non è per forza tre gradi di giudizio perché le parti possono fermarsi al primo grado senza fare ulteriori ricorsi),. Insomma ogni singolo indagato è responsabile delle proprie azioni e di queste ne dovrà rispondere davanti ai giudici che giudicheranno la loro condotta, non la persona, così come emergerà dalla “verità processuale”. Il giudizio sugli altri aspetti non sono di competenza di questi giudici, ci penserà anche la storia, se ne avrà voglia.

E' ormai innegabile che per molto tempo la presenza della 'ndrangheta in Valle d'Aosta è stata lungo negata, così come nel resto del Nord Italia. Risulta storia il fatto che si debba attendere il 2010, con l'operazione Crimine-Infinito, coordinata dalla D.D.A. di Reggio Calabria e Milano, per avere un riconoscimento giudiziario della ‘ndrangheta come organizzazione criminale. Nel vicino canavese saranno le condanne confermate dalla Cassazione nel 2016 a riconoscere giudiziariamente l'esistenza dei "locali" della ‘Ndrangheta. Dopo questi processi, le parole “locale”, “'ndrine”, “onorata società” non saranno più termini sconosciuti anche se molto c'è ancora da capire e spiegare.

Dietro ai nomi delle operazioni di Polizia Giudiziaria e dei conseguenti processi ci sono anni di lavoro, di analisi degli avvenimenti, anche in merito a quelle situazioni che per molti sono piccole e semplici vicende di bassa criminalità.

Ad oggi la 'ndrangheta ha dimostrato di possedere una formidabile capacità di adattamento, pur mantenendo la tradizione composta da riti, codici di comportamento, primo fra tutti l'omertà, al e, soprattutto, mantenimento del collegamento con la terra madre. Ogni “locale” è autonomo nelle proprie decisioni e strategie, ma deve comunque rendere conto alla struttura principale da cui dipende, come un grande albero che ha un fusto principale al quale sono attaccati i rami.

C'è voluto tempo per capire le dinamiche, comprendere la struttura, anni di ascolti di conversazioni criptiche, di lunghe osservazioni di comportamenti, di testimonianze, di accertamenti per conoscere che cosa alcune vittime non avevano denunciato per il timore di ritorsioni, o anche per la sola paura di essere considerato un "infame", un mezzo uomo che ha collaborato con la "Legge". Come raccontò un indagato valdostano durante l'indagine "Lenzuolo" dei Carabinieri di Aosta: «mi hanno tenuto dentro sei mesi nel tentativo di farmi crollare e parlare, ma io non ho mai detto niente, non ho collaborato». «Certo è così che fanno gli uomini! », rispose il suo interlocutore ammirato. Questo accade perché nella "loro" mentalità si chiede vendetta, mai giustizia. La Legge e le Forze dell'Ordine sono nemici da evitare come la peste con cui non si deve assolutamente collaborare altrimenti gli "uomini" devono soffrire il carcere, anche se un periodo nelle patrie galere è visto come una medaglia da appuntare sul petto, come i nastrini delle campagne di guerra sulle divise dei militari.

E inoltre c' è la violenza, quella che non lascia scampo, la morte fisica. Come diceva uno di loro, sospettato di fiancheggiare un latitante, ad un inquirente: «se non collaboro con voi della legge, al massimo rischio un periodo in galera. Se non collaboro con loro io e la mia famiglia rischiamo la vita». Alla domanda se quella fosse vita, non ha risposto.

Affrontiamo un viaggio, attraverso i fatti ed i processi, che ha permesso di comprendere il fenomeno ‘ndrangheta in Valle d'Aosta, un viaggio in cui non è mancato il sangue, l'omertà, la semplice paura, il tradimento. E' giunta l'ora di raccontare, come un romanzo, non per svelare chissà quali segreti,ma perché è giusto conoscere, e di raccogliere l'invito di Paolo Borselllino: «Parlate della Mafia, alla radio in televisione sui giornali».

Alla prossima puntata.

 

 

Cesare Neroni

 

 

 

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