Iran. Serve una rivoluzione

«L’eredità che lascia oggi l’Iran è la violenza, assieme alla necessità di scappare». Lo dichiara Azam Bahrami, attivista e scrittrice iraniana che il 10 febbraio ha partecipato nel salone ducale di Aosta alla serata 'Iran diritti violati', proposta da Amnesty International

 

Incontro ad Aosta con l'attivista Bahrami

Azam ha ottenuto l’asilo politico in Italia nel 2011, ora vive a Torino, ma da fuori continua a lottare per un paese che sente proprio, anche se, proprio lì, è stata considerata straniera, è stata rifiutata. Le sue idee non erano conformi con quelle della repubblica iraniana e, dopo essersi vista sospendere il diritto allo studio e al lavoro, è stata più volte condannata al carcere per essersi occupata di diritti delle donne: «per questo sono stata considerata un problema per la sicurezza di stato iraniana. Mi sono trovata improvvisamente sola, di fronte a un giudice, senza il diritto di un avvocato e senza alcun familiare accanto», racconta alla sala gremita per l’occasione. Il governo in Iran ha in mano la vite di ciascuno dei suoi cittadini, a cui decide di togliere diritti inviolabili quando lo ritiene opportuno.

Nel 2023 sono ormai quarantaquattro anni dalla rivoluzione iraniana. Era il primo febbraio del 1979 quanto lo sciita Ruhollah Khomeini tornò a Teheran e divenne di fatto il leader di quella rivoluzione che instaurò nel paese una repubblica islamica ispirata alla legge coranica. 

Non sono divieto di bere bevande alcoliche o di praticare il gioco d’azzardo: la rivoluzione portò con sé anche la riattivazione della pena di morte per reati come l’adulterio e impose alle donne un rigido codice di comportamento: braccia e gambe coperte con abiti che non evidenzino le forme, colori neuri, e obbligatorietà del velo.

Ma la rivoluzione non si fermò a questo. Amnesty International riconosce e denuncia quarantaquattro anni di omicidi di massa e impunità, evidenziando il ruolo degli esponenti della diplomazia iraniana nel negare i massacri, diffondere false informazioni e opporsi a qualsiasi indagine internazionale. Lo dichiara a voce alta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, in collegamento online ad Aosta: «in Iran la media è quella di due impiccagioni al giorno. Ad oggi tra condannati, sotto processo e indagati a rischio di pena di morte si contano più di cento persone». L’accusa più comune? Inimicizia contro Dio. 

In uno scenario così devastante però c’è anche la buona notizia: «l’attivista involontaria», come la definisce Noury ha segnato un punto di non ritorno. Grazie a Mahsa Amini nelle piazze sono scese moltissimi giovani donne e uomini a portare avanti la protesta sotto lo slogan Donna, Vita, Libertà. Nonostante i 500 morti, i 18 mila arresti e le decine di condanne a morte, le scarcerazioni degli ultimi giorni, come evidenzia Noury, fanno però pensare che le proteste abbiano avuto un ruolo determinante. Amnesty International tiene però a ribadire: «Non ci accontenteremo di un paio di rilasci».

Le autorità iraniane hanno troppe volte ignorato gli appelli della comunità internazionale per aprire indagini sulle uccisioni illegali, sugli arresti di massa e sparizioni forzate, oltre che torture, maltrattamenti e condanne a seguito di processi iniqui. «Non si può sperare di moderare questo governo, serve una rivoluzione», evidenzia, e auspica, Azam Bahrami.

La sala affollatissima del palazzo ducale ascolta con attenzione e, nell’uscita, sente risuonare più forti che mai le parole che Luca Tonino, Presidente del Consiglio comunale di Aosta, ha scelto per introdurre la serata: «Un quadro democratico come il nostro è un lusso da non dare per scontato».

 

Veronica Pederzolli

 

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