Con una ennesima sentenza, la III Sezione del Consiglio di Stato interviene sul distanziometro e sulla revoca delle licenze alle sale slot vicine a luoghi sensibili
La normativa regionale di contrasto al gioco d'azzardo patologico "non palesa" dubbi di incostituzionalità "né può essere ritenuto suscettibile di introdurre misure espropriative dell'esercizio del diritto d'iniziativa economica privata comportanti il diritto ad un indennizzo". Lo stabilisce la terza sezione del Consiglio di Stato con una sentenza che rigetta un ennesimo ricorso presentato da un'attività commerciale cui era stata revocata la licenza dopo l'entrata in vigore del cosiddetto "distanziometro".
L'argomento è da anni dibattuto nelle sedi dei tribunali amministrativi regionale e nazionale per una serie di ricorsi presentati da sale slot e sale gioco alle quali la Questura di Aosta negli anni passati ha revocato la licenza in quanto collocate nelle vicinanze di luoghi sensibili (per esempio istituti scolastici).
In quest'ultimo ricorso al Consiglio di Stato veniva sottolineata una disparità di trattamento rispetto al Casinò di Saint-Vincent. A parere dei giudici però la presenza della casa da gioco "risulta del tutto neutra ai fini della valutazione delle censure dell'appellante, che neppure dimostra una immotivata ed indebita disparità di trattamento giuridico fra le diverse strutture da gioco".
Secondo la società che ha presentato il ricorso a Roma, inoltre, la legge regionale contro il gioco d'azzardo patologico avrebbe "raso al suolo tutte le attività di gioco allocate sul territorio regionale (n. 9 totali), facendo incostituzionalmente salvo il solo Casinò". Per la terza sezione del Consiglio di Stato però mancano delle prove per sostenere questa tesi.
La normativa regionale inoltre non ha l'obbligo di prevedere alcun indennizzo, come invece sostenuto dal ricorrente. La revoca della licenza, scrivono i giudici, "non è avvenuta a seguito di un'autonoma e diversa ponderazione in sede provvedimentale degli assetti giuridico-fattuali di riferimento, ma discende dalla rigorosa applicazione di una progressivamente restrittiva disciplina legislativa regionale". In casi come questi le autorizzazioni amministrative "non creano un rapporto bilaterale fra amministrazione e cittadino (così come invece accade, ad esempio, in un rapporto concessorio di beni o servizi pubblici) suscettibile di creare il diritto ad un indennizzo in caso di alterazione del rapporto", ma anzi "conformano l’esercizio di una libertà privata, in modo da renderlo compatibile all’interesse pubblico secondo le previsioni dell’articolo 41 della Costituzione".
Clara Rossi