Suicidi in carcere, duro scambio di accuse tra Camera Penale e Magistratura Indipendente

Gli avvocati penalisti: è giunto il momento delle responsabilità. L'associazione replica: accuse pretestuose

Carcere Lorusso CutugnoDodici nel mese di gennaio, nove a febbraio, sette a marzo, altri cinque il mese scorso e infine tre questo mese di maggio: è l'elenco in cifre dei suicidi nelle carceri italiane avvenuti quest'anno. L'ultimo, avvenuto lo scorso 23 maggio, è quello della sessantaquattrenne sospettata ad Aosta di violenze sessuali e portata in carcere a Torino, nel "Lorusso Cutugno".

La sessantaquattrenne (come circa un terzo secondo le stime delle persone in carcere) non era stata condannata e quindi, come vuole la legge, era di fatto innocente. Nel suo caso nemmeno anzi c'era ancora stato il rinvio a processo: potenzialmente l'indagine poteva finire archiviata (come potrebbe accadere per il marito, anche lui incarcerato con le medesime accuse). L'avvocato difensore aveva chiesto la revoca della custodia in carcere, ma le tre istanze di scarcerazione erano state tutte respinte.

Attorno a questa ennesima tragedia è nato uno scontro tra Camere Penali e associazione Magistratura Indipendente, con uno scambio di accuse.

Tutto nasce dal comunicato diffuso dalla Camera Penale "Vittorio Chiusano" del Piemonte occidentale e Valle d'Aosta con un elenco di «noi accusiamo». Di fronte alle «drammatiche condizioni nelle carceri», scrivono, e alla «inaccettabile immutabilità delle cose, è giunto il momento delle responsabilità». Responsabilità che la Camera penale addebita alle forze politiche, ma anche a «quei magistrati del merito che, sordi alle condizioni delle carceri, continuano nell’abuso dell'utilizzo della custodia cautelare» e alla «magistratura di sorveglianza che si limita al burocratico smaltimento dei fascicoli, con tempi incompatibili con l’attenzione alle persone». E, più in generale, l'accusa al sistema penitenziario di «non prevedere l’utilizzo di risorse e idee per rendere almeno dignitose le condizioni di chi si trova in carcere affidato alla custodia dello Stato».

Accuse che Magistratura Indipendente respinge e, anzi, ribalta. «A questo punto, anche noi accusiamo - si legge in una nota -. Accusiamo la Camera penale di avere strumentalmente utilizzato una situazione tragica - che vede i magistrati coinvolti in prima persona, attraverso scelte professionali delicate, complesse e sempre effettuate nell’interesse supremo della giustizia, come pericolosi autori di abusi (senza che di tali abusi si faccia specifica menzione e si portino elementi di conferma degli stessi, indicando chi, quando, come e perché sarebbero stati commessi) - al fine di delegittimare l'operato della magistratura tutta». E, ancora, «accusiamo la Camera penale di essersi dimenticata di sottolineare il carico di lavoro degli uffici giudiziari, che inevitabilmente condiziona i tempi delle risposte che il sistema nel suo insieme è in grado di fornire. Accusiamo la Camera penale soprattutto, di avere formulato una critica all’attività giudiziaria senza fondarla su elementi precisi, concreti e specifici», si legge ancora.

Secondo MI, dunque, «la Camera penale non ha perso l’occasione di formulare affermazioni pretestuose, infondate, generiche e prive di argomentazioni in relazione all’attività della magistratura all’evidente fine - non se ne vedono altri - di screditarne l’immagine».

Il comunicato della Camera "Vittorio Chiusano" in ogni caso punta il dito anche contro «quegli agenti di polizia penitenziaria che si rendono autori di fatti di violenza e di mancato rispetto di detenute e detenuti» e, in generale, Governo e Parlamento per «non adottare misure di legge con effetto immediato che consentano di ridurre subito la popolazione carceraria».

Insomma, secondo la Camera Penale, «la responsabilità è di tutti coloro che, ognuno per la sua parte, continuano a ignorare che le carceri, così come sono oggi, rappresentano un inaccettabile luogo di sospensione dei diritti di donne e uomini. Coloro che - si legge ancora -, a vario titolo, contribuiscono ad alimentare il sovraffollamento carcerario e che, pur rivestendo ruoli e mansioni decisive, non adottano provvedimenti, generali o per la singola persona, in grado di mitigare l’attuale drammatica situazione, si sentano liberi di valutare le proprie responsabilità».

 

Marco Camilli

 

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