Presentato il Rapporto 2015: prevale l'egoismo individuale, manca progettazione per il futuro. E l'impegno politico fatica a scatenare una "reazione chimica" nei cittadini
Un letargo esistenziale collettivo, la vittoria della pura cronaca, l'imporsi di una cultura del "resto". Sono alcuni tratti con cui il Censis descrive la società italiana. Lo fa nel Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2015, presentato questa mattina al Cnel dal presidente Giuseppe De Rita e dal direttore generale Massimiliano Valerii. Secondo lo studio oggi c'è una "pericolosa povertà di interpretazione sistemica", manca cioè la progettazione per il futuro e prevale una "dinamica d'opinione" messa in moto da quel che avviene giorno per giorno. "È la vittoria della pura cronaca, che inietta nella vita quotidiana il virus della sconnessione". Il Censis parla di "disarticolazione strutturale del nostro sistema" e di una composizione sociale segnata dalla "molecolarità": vincono l'interesse particolare, il soggettivismo, l'egoismo individuale e non maturano valori collettivi e una unità di interessi. Crescono così le diseguaglianze, con una caduta della coesione sociale e delle strutture intermedie di rappresentanza che l'hanno nel tempo garantita. A ciò corrisponde una profonda "debolezza antropologica", un "letargo esistenziale collettivo", dove i soggetti (individui, famiglie, imprese) restano in un "recinto securizzante, ma inerziale". In sintesi, ne deriva una società a bassa consistenza e con scarsa autopropulsione: una sorta di "limbo italico" fatto di "mezze tinte, mezze classi, mezzi partiti, mezze idee e mezze persone".
Buoni segnali arrivano sul fronte della politica, con un "generoso impegno" a ridare slancio alla dinamica economica e sociale del Paese attraverso il rilancio del primato della politica. Il Censis ricorda l'insieme di riforme di quadro e di settore, gli interventi sul fronte imprenditoriale e per il consolidamento della ripresa. E c'è stata la ricerca del consenso d'opinione sulle politiche avviate, per innescare nella collettività "una mobilitante tensione al cambiamento", "una riscoperta di ottimismo" e "un recupero reputazionale". Tuttavia questo impegno fatica a scatenare una "reazione chimica" nella società e la necessaria osmosi tra politica e mondi vitali sociali. L'elemento oggi più in crisi è la dialettica socio-politica: non riesce a pensare un progetto generale di sviluppo del Paese a partire dai processi portanti della realtà ed esprime una carenza di élite. Così, la cultura collettiva finisce per restare prigioniera della cronaca (scandali, corruzioni, contraddittorie spinte a fronteggiarli, ecc.).
Che cosa resta oltre la pura cronaca e il volontarismo della politica? I processi di sviluppo reale del Paese. La società fa il suo cammino innanzitutto valorizzando la nostra storia di lungo periodo: la "saggezza popolare" che ci ha fatto sempre scegliere bene nei momenti cruciali della nostra evoluzione, il decoroso modello di sviluppo creato a partire dagli anni '70, una composizione sociale poliedrica (lontana dagli schemi di classe e di ceto), una pur discussa forza sommersa dei comportamenti economici e sociali (dal risparmio al lavoro individuale), una territorialità non indistinta, la fedeltà continuata nel primato della diversità (delle opinioni e dei comportamenti). In secondo luogo, esprimendo una certa dose di invenzione. Così, nell'indifferenza del dibattito sociopolitico, sottolinea ancora il Censis, si va costruendo uno sviluppo fatto di basi storiche, capacità inventiva e naturalezza dei processi oggi vincenti. Esempio ne sono i giovani che vanno a lavorare all'estero o tentano la strada delle start up, le famiglie che accrescono il proprio patrimonio e lo mettono a reddito (con l'enorme incremento, per esempio, dei bed & breakfast), le imprese che investono in innovazione continuata e green economy, i territori che diventano hub di relazionalità (la Milano dell'Expo come le città e i borghi turistici), la silenziosa integrazione degli stranieri nella nostra quotidianità. A ciò si accompagna anche un'evoluzione più strutturata, con il nuovo made in Italy che si va formando nell'intreccio tra successo gastronomico e filiera agroalimentare, nell'integrazione crescente tra agricoltura e turismo (con l'implicito ruolo del patrimonio paesaggistico e culturale), nel settore dei 'macchinari che fanno macchinari' (la vera punta di diamante della manifattura italiana).
La società si esprime dunque con questa dinamica spontanea che però è considerata residuale: un "resto" rispetto ai grandi temi che occupano la comunicazione di massa. Ma il "resto", che finora non è entrato nella cronaca e nel dibattito socio-politico, comincia ad affermare "una sua autoconsistenza". È proprio dal "grande resto" che può cominciare a partire la riappropriazione della nostra identità collettiva. "Il resto ha segnato la storia dello sviluppo italiano degli ultimi cinquant'anni" ha commentato Giuseppe De Rita. Che cosa resta oggi del grande processo di globalizzazione vista come occidentalizzazione del mondo? "Il policentrismo di tanti diversi sviluppi e la crescita faticosa di una poliarchia". Nella nostra storia, il resto del mito della grande industria e dei settori avanzati è stata l'economia sommersa e lo sviluppo del lavoro autonomo - ha argomentato - . Il resto del mito dell'organizzazione complessa e del fordismo è stata la piccola impresa e la professionalizzazione molecolare. Il resto della lotta di classe nella grande fabbrica è stata la lunga deriva della cetomedizzazione. Il resto dell'attenzione all'egemonia della classe dirigente è stata la fungaia dei soggetti intermedi e la cultura dell'accompagnamento. Il resto del primato della metropoli è stato il localismo dei distretti e dei borghi. Il resto della spensierata stagione del consumismo (del consumo come status e della ricercatezza dei consumi) è la medietà del consumatore sobrio. Il resto della lunga stagione del primato delle ideologie è oggi l'empirismo continuato della società che evolve. E i processi di sviluppo reale del Paese qui descritti sono il resto delle tante discussioni sulla guerra degli ultimi giorni".
Clara Rossi