U Siccu, la storia del più noto latitante raccontata da Lirio Abbate

Incontro in streaming organizzato dalla libreria Brivio di Aosta con il vicedirettore de L'Espresso sul 'fantasma' Matteo Messina Denaro

 

U SiccuAOSTA. La libreria Brivio di Aosta, in diretta sui social, ha ospitato sabato 25 luglio Lirio Abbate, autore del libro sul latitante Matteo Messina Denaro: "U siccu".

Lirio Abbate, siciliano, è vicedirettore de "L’Espresso". Si occupa prevalentemente di attualità ed è autore di esclusive inchieste su corruzione e mafie. Reporters sans Frontières lo ha inserito fra i "100 eroi dell'informazione" nel mondo. Con Peter Gomez ha scritto I complici (2007), con Marco Lillo I re di Roma (2015), con Marco Tullio Giordana Il rosso & il nero (2019). Per Rizzoli ha pubblicato Fimmine ribelli (2013) e il bestseller La lista. Il ricatto alla Repubblica di Massimo Carminati (2017).

Matteo Messina Denaro è il ricercato n. 1. Figlio di un capo mafia, condannato per decine di omicidi, detentore dei segreti di Cosa Nostra e pupillo di Salvatore Riina, è cresciuto mangiando pane e mafia.

Latitante dal 2 giugno 1993, ha indubbiamente dimostrato essere, oltre che uno spietato criminale, un capo scaltro e intelligente. Attualmente gestisce un impero finanziario che permette a lui di mantenere la latitanza e alla sua famiglia di vivere molto bene, consentendo ai figli di studiare economia alla Bocconi e vivere tra Londra e l'Italia.

Lirio Abbate, nel suo libro "U Siccu, Matteo Messina Denaro: l'ultimo capo dei capi" (ed. Rizzoli), racconta che il 30/06/1988, per la prima e unica volta Messina Denaro ha varcato la soglia di un ufficio di Polizia. Interrogato come testimone per un omicidio, quella è l’unica volta che si è raccontato e, nelle migliore tradizione mafiosa, ha mantenuto un profilo basso, definendosi un semplice contadino che aiutava suo padre nei lavori della campagna.

In realtà, continua Abbate, Matteo era un giovane e promettente rampollo di Cosa Nostra corleonese, addestrato all'uso delle armi fin da giovane.

Di lui non si hanno fotosegnaletiche e impronte: è un fantasma.

La sua intelligenza criminale, spiega Abbate, l'ha dimostrata nella vicenda Giuseppe Grigoli (omonimo di Salvatore Grigoli, killer di don Puglisi). Grigoli era un imprenditore che gestiva, per conto di Denaro, una catena di supermercati e altre società. Arrestato e condannato per associazione per delinquere di stampo mafioso, gli venne sequestrato e confiscato tutto (da fonti web 700 milioni di euro). In carcere Grigoli traballa, si paventa una sua collaborazione. Immediatamente il capo viene avvisato e i suoi uomini si rendono disponibili a ucciderlo. Il capo ordina che sia lasciato in vita. Grigoli comprende e ritorna nel silenzio più assoluto. Questa è la mafia che vuole il rispetto totale, la sola notizia che il capo sa ha risolto il problema. Fa più paura la mafia che il carcere.

Perché la Mafia funziona? Quando lo Stato considera un fenomeno pericoloso lo annienta, vedi le BR. Perchè non succede con la mafia?
Abbate risponde che le BR hanno attaccato lo Stato mentre la Mafia no, ci è andata a braccetto, ha collaborato. Quando ha provato ad attaccarlo, con il periodo stragista, lo Stato ha reagito con durezza e la mafia si è nuovamente inabissata. Con la società funziona, perché utilizza quello che ha definito "il walfare mafioso". Per questo lo Stato, soprattutto in questo periodo, deve intevenire velocemente prima che lo faccia la mafia.

Le domande per Abbate erano tante, ma il tempo è stato tiranno.

Leggeremo il libro con grande interesse perché, come giustamente dice Abbate, il fenomeno mafioso va studiato e ci si deve documentare, come dire: "se lo conosci, lo eviti".

 

Cesare Neroni

 

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