Destra e Sinistra valdostana concordano nel negare i diritti agli indifesi cittadini

La privacy (diritto alla riservatezza) è una tutela del cittadino sancita da una legge nazionale ed europea che non può essere applicata “a discrezione” dell’amministratore e/o del funzionario pubblico per proteggere dati che sensibili non sono, come quando un genitore chiede informazioni sui propri figli, affidati o collocati prevalentemente presso l’altro genitore.

Privacy


E’ un equivoco interpretativo o un evidente rifiuto di atti d’ufficio per “proteggere” indebitamente il genitore collocatario, che, guarda caso, è quasi sempre la madre, protetta dagli onnipotenti servizi sociali e/o altre istituzioni pubbliche preposte alla conservazione dei dati, collettori di voti di questo o quel partito?

La Regione elargisce contributi per i figli dei separati o servizi semigratuiti, come l’abitazione popolare, al genitore collocatario - entrambi a vario titolo erogati, ma soldi pubblici pur sempre sono – e al padre, se formula istanza di accesso agli atti per sapere quale sia il loro ammontare, viene candidamente risposto, con una intollerabile arroganza, che non può sapere, in nome della privacy, quanti soldi vengono dati direttamente o indirettamente ai propri figli. Il rifiuto della risposta lascia esterrefatti gli ingenui genitori che si vedono, di fatto, negato il diritto alla trasparenza, anche su dati che riguardano i loro figli, ma non i figli del funzionario di turno.

È inutile ribadire che molti genitori non hanno la capacità economica per poter impugnare il c.d. “silenzio – rifiuto” o il provvedimento che stabilisce il rifiuto dei dati e dei documenti. Purtroppo, inoltre, le istituzioni competenti, sapendo di queste difficoltà, se ne approfittano!

Più volte abbiamo sollecitato invano gli amministratori pubblici valdostani e alcuni esponenti politici regionali sull’anomalo comportamento delle istituzioni locali nel rispetto di un diritto del cittadino, genitore non collocatario dei propri figli, di sapere quanti e quali benefici (dati non sensibili, contenenti informazioni quindi non coperte da privacy o diritto alla riservatezza) la genitore collocataria è beneficiaria. Ma sono pervenute risposte, vaghe e divaganti, solo da alcuni politici, con la solita promessa di provvedere. La promessa, però, tale è restata. I responsabili della regione e degli enti locali rifiutano di occuparsene. Come sempre.

Vediamo di interpretare il rifiuto dei dati e dei documenti delle istituzioni.

I dipendenti pubblici, dietro ai quali ci sono i responsabili politici e i funzionari preposti al funzionamento del servizio, non conoscono “direttamente” la legge sulla privacy o non hanno tempo per andarsela a leggere, altrimenti saprebbero che la “loro” pretesa riservatezza non esiste nell’ambito familiare e che il rifiuto del rispetto della trasparenza potrebbe essere anche perseguibile per legge (sia sul piano penale che su quelli civile e disciplinare). Alla base del rifiuto potrebbe esserci la malafede o altri interessi (si può ipotizzare, in questi casi, anche un abuso d’ufficio), spesso di genere, compreso il variegato mondo del clientelismo elettorale, che ci porterebbe a dire che queste persone non possono stare in posti pubblici, senza se e senza ma.

Un’altra ipotesi interpretativa potrebbe essere – ma il dubbio qui “potrebbe” non esserci – la “confusione” esistente sia in regione che nei comuni sulla gestione dei finanziamenti pubblici e sui servizi “sociali”, che incidono in modo significativo sullo sperpero del danaro dei cittadini. I vari assessorati “elargiscono” autonomamente (e gelosamente) sussidi, finanziamenti, servizi abitativi e non sanno quanti soldi la stessa persona beneficiaria ha già percepito o è in procinto di percepire, perché non c’è comunicazione tra le decine e decine di strutture pubbliche eroganti soldi ad alcuni cittadini. Manca un registro regionale dei finanziamenti pubblici, a vario titolo, motivo e/o diritto e sotto qualsiasi formula erogati, per evitare che ci siano genitori collocatari che per il solo fatto di essere separati o affidatari di minori, compresi quelli con difficoltà comportamentali, percepiscano anche oltre ventimila euro all’anno. I servizi sociali, che dovrebbero controllare e riferire, spesso, volontariamente o per superficialità, “coprono” queste anomalie, continuando a sollecitare l’ente locale ad elargire anomali interventi pubblici a questa o quella persona (quasi sempre la madre), senza il vincolo di uno specifico regolamento. La discrezionalità e il voluto mancato confronto tra i vari comparti (alcune decine per ente) rendono un cattivo servizio all’amministratore pubblico e creano intollerabili discriminazioni tra i cittadini.

Discriminazioni che, nel mondo delle separazioni o fine convivenza, creano una feroce conflittualità tra i genitori a totale discapito dei figli, il cui “superiore interesse”, in teoria, dovrebbe essere tutelato dalle stesse istituzioni preposte alla loro difesa.

Resta ovvio l’inalienabile diritto del genitore non collocatario di conoscere, in qualsiasi momento, l’entità dei finanziamenti di cui beneficia il genitore collocatario, perché lui è obbligato a versargli l’assegno di mantenimento per i figli, che dovrebbe essere determinato in base ai redditi (ma non è così) dei due genitori nonché in base ai bonus e/o agli altri contributi pubblici e/o privati a qualsiasi titolo, motivo e/o diritto percepiti. Per troppi genitori, in Valle, è facile nascondere i redditi non dichiarati e sui quali nessuno fa accertamenti, nemmeno quando un genitore ne fa esplicita richiesta al giudice (avendo documentato il rifiuto delle istituzioni pubbliche all’accesso agli atti), e l’altro genitore viene “obbligato” a sborsare per i figli somme che lo costringono all’umiliazione di subire il pignoramento dello stipendio o di vedersi versato il contributo al mantenimento direttamente dal datore di lavoro (che lo decurta dallo stipendio), di elemosinare “il soccorso” di amici e parenti o, altrimenti, vivere in macchina, perché viene prosciugato del suo stipendio mensile, spesso di per sé misero. Per lui non c’è la doverosa attenzione dei servizi sociali. E spesso è solo un problema di sesso.

La mancata trasparenza sulla concessione delle sovvenzioni pubbliche arreca un danno al genitore non collocatario, che, in tribunale, non può dimostrare i soldi pubblici percepiti dalla collocataria per i figli. Non sono quisquiglie, ma precise violazioni – istituzionali – dei diritti dei cittadini in nome di una privacy che, per i figli e/o per l’altro genitore, non esiste. Violazioni che dovrebbe indurre il giudice, una volta informato dall’altro genitore, a predisporre accertamenti per perseguire i responsabili, a vario titolo, dell’abuso (o rifiuto) sull’ignaro e indifeso cittadino.

La stessa cosa dicasi per il lavoro nero che tutti conoscono (ma solo raramente traspare nelle relazioni al tribunale dei servizi sociali) e che dovrebbe essere appurato anche da parte dell’ente pubblico erogatore di finanziamenti ad personam.

Per fare tutto ciò occorre, in primo luogo, il registro regionale delle sovvenzioni sociali, elargite dalla regione e dagli enti locali, la cui istituzione richiede solo la volontà politica, il controllo istituzionale e poche ore per realizzarlo e, quando si è in presenza di coppie di genitori non più conviventi, occorre la immediata comunicazione telematica ad ambedue i genitori da parte dell’ente erogatore dei finanziamenti e dei benefici sociali elargiti ai loro figli. Un dovere di correttezza e di rispetto del cittadino, senza distinzione di sesso e di voto.

Ma lasciamo stare la privacy, perché potrebbe portare qualcuno sul banco degli imputati e/o ad essere sottoposto a procedimento disciplinare.

 

Ubaldo Valentini, pres. Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps)
Contatti: tl. 347.6504095, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., www.genitoriseparati.it

 

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