Validi gli accordi economici dei coniugi fatti prima della separazione e divorzio

Con l’ordinanza 21 luglio 2025, n. 20415 la Corte di Cassazione riconosce la validità degli accordi economici (patti prematrimoniali) che i coniugi avevano sottoscritto prima della separazione e/o del divorzio. Un piccolo passo avanti per l’ammissione dei c.d. patti prematrimoniali, così come avviene in molti stati europei.

L'accordo prematrimoniale in Italia

La Cassazione, con questa ordinanza, fa chiarezza sugli accordi sottoscritti da ambedue i coniugi prima o durante il matrimonio per regolarizzare i loro rapporti economici in caso di separazione e divorzio.

La Suprema Corte, pertanto, con questo rivoluzionario riconoscimento, contribuisce a rendere meno traumatica e conflittuale la fine della convivenza, a beneficio dei coniugi e dei loro figli, sempre coinvolti nei loro litigi, ma vuole dire anche meno soldi sperperati per le parcelle dei legali e per le consulenze effettuate tramite Ctu, meno discrezionalità a giudici e servizi sociali (che si intrufolano su questioni non di loro pertinenza e, spesso, condizionano i giudici per la mancata fedeltà nel riferire le fonti reddituali dei due coniugi) e si riduce pure la conflittualità genitoriale.

Fine di un tabù giuridico

Nello specifico, l’ordinanza segna, in modo definitivo, la fine del tabù giuridico sugli accordi economici, prematrimoniali o matrimoniali, sottoscritti congiuntamente dai coniugi proprio per contenere possibili diatribe e conflittualità che, spesso, scaturiscono dalla separazione e divorzio, non sempre congiunti, creando pericolose situazioni di danno ai figli, soprattutto se minori.

Perdurava ad esistere la convinzione che qualsiasi accordo economico stipulato in previsione di una eventuale crisi coniugale non poteva essere considerato valido, perché avrebbe incentivato la rottura dell’unione matrimoniale, cioè che il non riconoscimento degli accordi economici avrebbe condizionato lo scioglimento del matrimonio. In concreto, si riteneva che il timore delle scelte discrezionali dei giudici sulle questioni economiche avrebbe trattenuto i coniugi a dichiarare la fine della convivenza.

Tali accordi, secondo i giudici, erano ritenuti illegittimi per “illiceità della causa”, perché, con la spartizione preventiva del patrimonio, avrebbero potuto favorire la rottura del matrimonio.

Il diritto di autodeterminazione

La Cassazione ora riconosce la legittimità di questi accordi, anche se firmati durante il matrimonio: la famiglia non è più un qualcosa (entità superiore) a cui sacrificare tutto, ma una semplice unione tra soggetti liberi, consapevoli e autonomi, che possono organizzarsi, liberamente, anche il loro futuro, con specifici accordi sottoscritti prima della crisi coniugale.

Si riconosce il sacrosanto diritto dei coniugi ad autodeterminarsi e di pianificare la gestione dei beni, in presenza di una eventuale fine della convivenza, senza richiedere l'intervento del giudice e senza subire una battaglia legale, a suon di ricorsi e avvocati, e senza spendere tanti soldi che molti coniugi non possono permettersi. Nella stesura dell’accordo, è consigliabile avvalersi della consulenza e valutazione di esperti del diritto.

Contratti atipici

La Cassazione definisce gli accordi prematrimoniali “contratti atipici con condizione sospensiva lecita”, poiché l’art. 1322 del c.c. stabilisce che i cittadini possono stipulare contratti diversi da quelli previsti dalla legge, purché abbiano interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. La Cassazione ha stabilito, di fatto, che evitare conflitti economici futuri tra coniugi è un interesse legittimo e tutelabile per evitare che la rottura coniugale sfoci in guerre patrimoniali devastanti.

I coniugi non firmano perché vogliono divorziare, ma perché desiderano tutelarsi nel caso in cui ciò accada, cioè è uno strumento preventivo, che, comunque, dovrà essere condiviso, non punitivo, equilibrato e bilanciato, che tuteli ambedue i coniugi, anche su altri aspetti della vita familiare: affidamento dei figli, modalità di visita e l’uso della casa coniugale. Al giudice, però, rimane il ruolo di controllo e garanzia sulla corretta applicazione dei patti sottoscritti e sul rispetto dei diritti fondamentali dei coniugi.

E’ una scelta di civiltà. Se un coniuge si rifiuta di accordarsi sul dopo matrimonio, l’altro coniuge dovrebbe trarne le dovute considerazioni, soprattutto in un’epoca in cui oltre la metà dei matrimoni termina con una separazione.


 

Avv. Francesco Valentini, tel. 347.1155230,
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