La Cassazione talvolta emette provvedimenti che complicano l’amministrazione della giustizia, perché sono formulati sulla base di principi che non sempre, poi, esistono nella realtà quotidiana. Le ordinanze/sentenze di questo insostituibile organo giudicante – spesso anche contraddittorie tra le varie sezioni chiamate a pronunciarsi su argomenti identici - alimentano molta confusione e non sempre tengono conto che non si può decidere su fatti non rispondenti al vero, poiché, altrimenti, si danneggia proprio la persona che, invece, dovrebbe essere tutelata. Anche la Cassazione, di conseguenza, può contribuire ad alimentare la già diffusa e intollerabile giustizia ingiusta.
Parliamo delle ordinanze/sentenze inerenti le separazioni dei coniugi e il delicato affido dei minori quando finisce la convivenza dei genitori, che, di fatto, riguarda una elevatissima percentuale di processi che terminano con ordinanze che appaiono rispondenti più alla consolidata logica ideologica che estromette, quasi sempre, un genitore dalla gestione dei figli, gravandolo, molto spesso, di doveri economici per agevolare la controparte, ben tutelata da strutture di genere, finanziate con soldi pubblici, le quali, purtroppo, hanno il tacito consenso dei servizi sociali, dell’autorità giudiziaria e della politica, sempre in affannosa ricerca di consensi.
La recente ordinanza n. 18954/2025 della Cassazione si muove in questa pericolosa ottica, ma non costituisce un’importante evoluzione del diritto familiare, come qualche legale imprudentemente si affretta a commentarla, ma, purtroppo, è solo una velata riconferma della palese prevenzione nei confronti del genitore obbligato, (quasi) sempre e solo lui (il padre), a pagare il mantenimento dei figli ed ora si pretende che la ripartizione tra i genitori delle spese straordinarie avvenga in base alle dichiarazioni ufficiali dei redditi, che, come tutti sappiamo, spesso sono volutamente incomplete e, quindi, falsificate.
La ripartizione delle spese straordinarie per i figli, secondo gli Ermellini, non deve essere paritetica al 50% tra i due genitori, come oggi avviene quasi sempre, ma deve essere proporzionato ai loro redditi individuali, dimenticandosi di sottolineare che le somme dichiarate devono essere complete e, quindi, veritiere e devono comprendere sia il lavoro non dichiarato che gli innumerevoli contributi e/o agevolazioni extra (che, a volte, fanno reddito), elargite al genitore collocatario dalle istituzioni pubbliche e private, come la Caritas o altri organismi pubblici con gestione privata, che gestiscono le somme, di fatto pubbliche, messe a loro disposizione, senza dimenticare il beneficio del patrocinio a spese dello Stato, frequentemente non spettante, se si indagasse veramente ed in tempo reale (o, al massimo l’anno successivo, ma, per far ciò, è necessario cambiare le leggi) sui redditi a disposizione del richiedente.
Le dichiarazioni dei redditi, spesso, sono palesemente infedeli, sia per il tenore di vita tenuto dal genitore dichiarante “povertà”, sia perché le richieste di verifica formulate in sede di udienza e negli scritti dall’altro genitore, non sono, pertanto, quasi mai verificate (anche perché, i giudici, qualche volta, forse per dispetto, non le prendono in considerazione, neanche se sono ben documentate). Le dichiarazioni del genitore collocatario/affidatario, pertanto, possono – in molti casi lo sono palesemente – non essere veritiere e rispondono solo alla pretesa di avere un assegno di mantenimento più consistente da parte del genitore non collocatario e di poter beneficiare degli infiniti ed anonimi sussidi e benefici pubblici e privati.
La Riforma Cartabia prevede le specifiche indagini sui redditi dichiarati dai genitori, da attivarsi quando esiste la possibilità di dichiarazioni non veritiere, ma i giudici sembrano non conoscere questo loro obbligo a farlo effettuare agli organismi competenti e, così, si continua a perseguitare lo sfortunato genitore non collocatario, che risulta sempre perdente e sempre più emarginato dalla vita dei figli, non avendo, una volta pagato il mantenimento e le spese straordinarie, nemmeno i soldi per avere una abitazione degna per accogliere i figli quando dovrebbero stare con lui. Anzi, spesso, vivendo in macchina o avendo solo un giaciglio presso gli anziani genitori e gli amici, non ha proprio dove accoglierli, se non ai giardini pubblici, anche d’inverno, pur essendo, spesso, anche comproprietario della casa coniugale o familiare, ora assegnata al genitore collocatario (il 94% sempre la madre), per il quale, essendone coobbligato in solido, ne paga la propria quota o, addirittura, l’intera rata (rimanendo, di conseguenza, molto spesso, anche senza i soldi necessari ad iniziare un’azione giudiziale nei confronti dell’altro coobbligato in solido al fine di chiedere il rimborso del 50% dell’importo pagato delle rate e di spettanza dell’altro). Non può assolvere al diritto-dovere di frequenza con i figli ricorrendo al bar, sia perché è un luogo non idoneo, sia perché anche la frequentazione alternativa del bar ha un costo che, spesso, lui non può permettersi.
La ripartizione delle spese straordinarie in base ai redditi disponibili per ciascun genitore è già da tempo inserita nel codice civile, il problema, però, è che i giudici, spesso, non azionano i dovuti controlli e si esprimono genericamente, facendo riferimento ai locali protocolli tra giudici ed avvocati, che, quasi sempre, sono contraddittori e contrastano con le leggi vigenti e con la giurisprudenza. La veridicità dei dati economici del genitore collocatario va verificata, caso per caso, vista l’esistenza di innumerevoli contributi, pubblici e privati, assieme agli assegni di mantenimento (assegno unico compreso) – che l’altro genitore versa per i figli, senza nulla sapere sul suo effettivo uso – alle agevolazioni per l’edilizia popolare ed altri contributi elargiti, che costituiscono reddito per il genitore collocatario e che dovrebbero essere detratti dai redditi del genitore obbligato.
La ripartizione delle spese straordinarie in base ai rispettivi redditi dei genitori dovrebbe essere un atto dovuto da parte del giudice, ma tenendo presente che sui dati dichiarati il giudice dovrebbe disporre degli accertamenti, almeno quando ci sono contestazioni attendibili, per la dilagante evasione fiscale che falsifica, poi, tutto e condanna il non collocatario a subire la ulteriore prepotenza dell’altro genitore. Senza severi controlli immediati non c’è equità tra i genitori nel mantenimento dei figli. La Cassazione lo sa, ma evita di dirlo, alimentando, così, la giustizia ingiusta.
Chissà perché?
Ubaldo Valentini, pres. Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps)
tl. 347.6504095,