Il papà può e deve crescere i figli

Il padre ha tutte le carte in regola per crescere ed educare i figli e, quando riesce a farlo, dimostra di essere professionalmente preparato e, quasi sempre, ci dice la socio-psico-pedagogia, lo fa anche meglio della madre. I padri abbandonano il lavoro per dedicarsi ai figli e nel 2024, in 19 mila lo hanno fatto. E’ una percentuale alta, poiché corrisponde al 30,5% dei genitori che l’anno precedente hanno scelto i figli (fino a 3 anni di età) al lavoro e ciò conferma che sta lentamente (ma non tanto) cambiando la concezione della famiglia e il ruolo dei genitori, scoprendo che i padri hanno le carte in regola per fare il genitore, come la madre.

Certo, abbandonano (senza distinzione tra madri e padri) il lavoro per la impossibilità di conciliare gli orari lavorativi con le esigenze del figlio e/o figli, mentre, se ci fosse una diversa visione della genitorialità, le due cose, lavoro e crescita del figlio, potrebbero coesistere e armonizzarsi. Non esiste, in Italia, a mio parere, una seria politica della famiglia e nemmeno una tutela dei minori, tanto che il fenomeno della denatalità è solo una “notizia” che non suscita una sana preoccupazione nei politici e nella società in genere per individuarne le cause e porvi rapidi e seri rimedi.

La cultura denigratoria della figura paterna che, per secoli, relegava il suo ruolo a quello di provvedere economicamente alla famiglia trova sempre maggiore difficoltà a continuare a difendere gli arcaici preconcetti sessisti, che escludevano l’educazione dei figli dalla sfera delle competenze o, meglio, esigenze del padre.

In altre nazioni confinanti con l’Italia, c’è una diversa concezione sia del lavoro che del ruolo genitoriale e lo Stato difende la genitorialità, garantendo uno stipendio al genitore che si occupa esclusivamente dei figli, senza distinzione se padre o madre, e gli stessi orari di lavoro vengono adeguati alle esigenze genitoriali per accudire, nei primissimi anni di vita, i figli stessi. In Italia ci sono piccoli interventi per la cura dei figli nei primi anni di età, ma manca una vera e propria politica genitoriale, che metta al primo posto i figli e la loro crescita. I padri possono usufruire di questi parziali permessi lavorativi, ma il problema di fondo resta sempre lo stesso: come conciliare orario di lavoro e cura dei minori, tenendo presente che la nostra realtà è carente di asili nido pubblici, con rette accessibili e sostenibili per tutti, e quelli privati, che talvolta sfuggono anche ai controlli pubblici, hanno prezzi proibitivi. La soluzione, in questi casi, è quella di non mettere al mondo i figli, lasciando questa incombenza a quei pochi che sono meno poveri e si possono permettere di vivere senza lavorare La precarietà e pericolosità di queste scelte sono sotto gli occhi di tutti.

Un tema legato alla genitorialità è quello della casa e delle strutture, insufficienti, per le famiglie con figli. Altra considerazione che non può essere sottaciuta è inerente la scarsa considerazione della figura paterna in una società dominata dalla breve durata dei matrimoni e delle convivenze che portano al moltiplicarsi delle famiglie allargate e della emarginazione dei figli ad uno dei due genitori o, talvolta, anche ad ambedue, lasciando spazio ad una miriade di strutture incontrollate e talvolta anche pericolose per la mancanza di professionalità e programmazione seria e rispettata e per il subdolo mercato nell’utilizzo dei c.d. educatori.

Parliamo, come sempre, dell’affido dei figli, quando viene meno la convivenza dei genitori, e dei provvedimenti iniqui, riconducibili, talvolta, alla scarsa professionalità delle strutture create più per fare cassa che per rispondere alle egenze dei minori e dei loro genitori, cioè dell’attuale società e quella futura.

Una cosa è certa. I padri sono consapevoli del loro ruolo genitoriale e non vogliono più rinunciarci, anche se, per essere presenti ambedue i genitori con i figli, occorre una diversa regolamentazione del lavoro e una sostanziale tutela dei bambini e dei loro genitori, eliminando quelle perverse discriminazioni che finiscono per estromettere un genitore dalla vita dei propri figli.

Una diversa cultura genitoriale passa anche per la scuola e tutti coloro che, a livello volontario, cercano di accreditare la figura paterna, che, come sopra anticipato, è sempre più attenta alle esigenze dei neonati e dei bambini piccoli, sconfessando il prototipo del padre incapace ad educare e crescere i propri figli. L’esperienza ci dice ben altro, invece, e cioè che il padre sa fare il padre, lo vuole fare e, talvolta, per i figli, è la figura più rassicurante e più attenta alle loro esigenze. Spetta alla magistratura fare accertamenti in merito, prenderne atto e non penalizzare sempre la figura paterna in nome di una fittizia, quindi falsa, convinzione secondo la quale i figli hanno sempre bisogno più della madre che del padre.
Uno Stato giusto deve garantire a ciascun genitore la possibilità di poter esercitare la propria genitorialità con i figli, senza rinunciare al lavoro, che, troppo spesso, vuol dire anche dover affrontare la carenza delle risorse economiche familiari. Ciò comporta, però, rinunciare a fare il genitore (e tutto ciò che comporta questa mancata presenza) oppure rinunciare ai figli. Il problema non si risolve con provvedimenti tampone, che alimentano la confusione dei ruoli genitoriali nella crescita dei figli, ma significa discriminare un genitore.

Ovviamente a scapito del padre, ma, in definitiva, a scapito dei figli.


Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Figli (aps)
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