La giustizia è ingiusta anche per colpa di noi tutti

Lottare contro la giustizia ingiusta nelle separazioni e nell’affido dei minori è un dovere non solo dei diretti interessati, ma della società tutta, poiché la responsabilità della sua esistenza non è solo di chi amministra la giustizia, ma anche di chi non fa nulla per garantire la giustizia, rimuovendo le cause che sono alla base di questa vessazione, continuata, dei cittadini, soprattutto di quelli più deboli. Il problema ci riguarda da vicino, poiché una società che si regge sulla sudditanza al più forte non sarà mai una società giusta e non potrà mai sperare in una giustizia giusta, che significa, di fatto, rispetto dei diritti fondamentali di tutti i suoi membri.

La giustizia nelle separazioni e negli affidi deve essere giusta, altrimenti non è giustizia nemmeno quando usa impropriamente questo termine e, per tutelare - meglio sarebbe dire pretendere – sentenze eque e rispettose della legge vigente, occorre, in primo luogo, fare un profondo esame del comportamento dei singoli membri della società, senza ricercare scuse per addossare la colpa sempre agli altri. Se la giustizia è ingiusta, vuol dire che la questa viene esercitata in modo iniquo, che la legge non è uguale per tutti e che chi entra in un tribunale da indagato deve lasciare ogni speranza, poiché la certezza di equità è troppo spesso bandita per l’innocente.

Una società che pensa a garantirsi un futuro non può sfuggire ai diritti-doveri di ciascuno dei suoi membri, denunciando a chiare lettere le contraddizioni che minano il suo tessuto sociale e che sono riconducibili ad una falsa concezione di essere e di benessere, di libertà e di democrazia, di solidarietà e di tutela del più debole. Rientrano nella giustizia minorile e, generalmente, in quella familiare i minori privati, molto spesso, del padre, come figura genitoriale di riferimento, e gli stessi genitori estromessi dall’esistenza dei propri figli. Estromissione che va rifiutata energicamente da tutti i cittadini perché spesso basata solo sulla errata (speriamo non falsa) interpretazione del codice civile, e, ancora più grave, con accuse di fatti non veri, progettati per autentificare colpe inesistenti, indispensabili per le ideologie di genere, a cui frettolosamente tutti noi supini ci assoggettiamo, non permettendo l’esistenza del doveroso spazio al dubbio.

Le responsabilità di questa fuga dalla giustizia giusta sono tante e, talvolta, sono difficili da individuare, soprattutto quando in ciascuno di noi manca una chiara volontà a combatterle. La consapevolezza dell’esistenza di una giustizia ingiusta è fondamentale per programmare interventi coordinati tra le varie realtà scio-culturali del territorio, siano esse individuali che di gruppo sociale, e per riaffermare l’equità (anche giuridica) dei diritti umani.

Una società, per essere giusta, necessita della condivisione di principi certi per sé come per gli altri. Tale condivisione va ricercata e, per non fallire nella sua individuazione, è indispensabile che ciascun cittadino si educhi a quei principi indispensabili per un onesto e sicuro futuro del singolo soggetto sociale. La cultura della giustizia giusta va ricercata da ciascuno di noi, denunciando alla nostra coscienza le contraddizioni e la pericolosità delle nostre certezze formali che, con facilità, siamo disponibili a sacrificare per garantirci un benessere interiore che troppo spesso altro non è che una pura rincorsa di una esteriorità vuota e, di conseguenza, devastante per noi e per gli altri.

La giustizia ingiusta si combatte assieme a tutte le sue implicazioni e complicazioni, lasciando un interiore spazio al dubbio, cioè alla incertezza sulla attendibilità delle certezze su quel benessere a cui ciecamente diamo fiducia. Cercare la verità delle cose diviene la molla di quel cambiamento che in molti chiamano rinascita. Per farlo, occorre, però, partire sempre da noi stessi.

Cambiare il nostro modo di pensare ci rende più credibili e attenti nel relegare in un angolo tutto ciò che, al contrario, è dannoso al nostro e altrui benessere. La gestione della giustizia passa attraverso ciascuno di noi, sia come singola persona, che come membri di una comunità in cammino verso una giustizia giusta.

Ognuno ricopre, così, un proprio ruolo nella società di cui deve farsene carico, senza delegare l’incombenza – a cui nessuno può sottrarsi - ad altri o, meglio, senza scaricare su altri le colpe del nostro menefreghismo esistenziale.

La giustizia diviene ingiusta nel momento in cui ciascuno di noi vuole scaricare su altri le proprie responsabilità e le proprie inadempienze. La colpa è anche nostra, se, con il nostro silenzio, permettiamo l’uso distorto del concetto di giustizia e ci arrendiamo alle disposizioni del giudice per non contraddire il proprio avvocato, i servizi sociali, gli psicologi e per non urtare la inopportuna suscettibilità dei giudici. Il toro va sempre preso per le corna ogni qualvolta i diritti della persona vengono soppressi e piangere sul latte versato non risolve il problema della malagiustizia, anzi lo amplifica, rendendolo, purtroppo, inamovibile. Tagliare i tentacoli alla giustizia ingiustizia vuol dire, partendo sempre da sé stessi, mettere al primo posto i diritti inalienabili, quindi non gestibili con compromessi momentanei, dei più deboli, nel nostro caso i minori, gestiti con iniqui provvedimenti, e quasi sempre i padri, ridotti a pura anonima macchina economica, senza diritto alla genitorialità e alla cogenitorialità. Sui minori da affidare e sui diritti del genitore non collocatario non ci possono essere compromessi, ma solo la certezza della verità.

Le istituzioni preposte alla tutela dei minori e della genitorialità - che non è solo il tribunale, talvolta vittima delle informazioni, incomplete e/o, molto facilmente, deviate dai servizi sociali, e di una falsa cultura della paternità e dei diritti minorili negati – devono essere richiamate ai loro doveri istituzionali, prevedendo di sanzionare le inadempienze e le violazioni, anche quando sono protette dal potere politico degli enti locali.

Ridiamo credito alla contestazione dei politici e di tutti coloro che, a vario livello e con diverse modalità, sono pagati con i soldi pubblici, ma si guardano bene dal garantire il diritto alle pari opportunità dei cittadini più deboli, cioè dei minori in affido e del genitore inspiegabilmente emarginato dai propri figli ad opera dell’affidatario o collocatario prevalente, che, quasi sempre, ricava indebiti ritorni, anche economici, dal mancato affido condiviso paritario, che, invece, eviterebbe la conflittualità genitoriale, a totale svantaggio dei figli.

Ci pervengono numerose segnalazioni della malagiustizia valdostana, che le istituzioni e, soprattutto, i politici ben conoscono, a cui occorre dare una risposta certa. La nostra associazione è dal 2008 presente ad Aosta e continuerà, come da statuto, a tutelare i diritti dei minori in affido e di ambedue i genitori non più conviventi. Siamo sempre a disposizione di tutti al 347.6504095 e/o Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o su www.genitoriseparati.it.

 

Ubaldo Valentini
pres. Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps)

 

 

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