Riceviamo e pubblichiamo
Forse non sbaglia chi è portato a credere che la cultura giuridica si sia smarrita ed abbia ceduto il passo ad una deriva che evoca gli eccessi dei tempi della inquisizione.
Sembra che questo sia un orientamento destinato a farsi sempre più spazio nella società italiana, secondo una tendenza - sicuramente accentuata dopo il mercimonio carrieristico emerso ai più alti livelli rappresentativi della magistratura - che trova saldi addentellati in ciò che i cittadini leggono su un giornale, ascoltano alla radio o vedono alla televisione.
Tutti, ormai, si conosce una prassi che, lungi dall'essere civile come vorrebbe, scandisce i tempi dell'agire giudiziario, condizionandolo.
La prassi è quella di presentare alla pubblica opinione operazioni di polizia cui vengono date denominazioni ad effetto e, a tacer d'altro, improbabili.
Fermo e sacro il diritto/dovere di informare, dietro il quale comunque si cela la somministrazione di dosi di elementi destinati ad incidere, quando non a turbare la serenità delle successive fasi processuali, si eludono una serie di angoscianti interrogativi destinati ad occupare il cuore e le menti di chi vedrà comunque devastata non solo la propria vita, la propria storia, il tempo che gli resta: molto di più!
In questa Italia, si può ancora democraticamente definire non in linea con accettabili e condivisi canoni di civiltà, la pretesa di assimilare alla "Geenna" la vicenda umana dei cittadini privati il 23 gennaio scorso della libertà personale, quale che essa risulterà poi accertata?
Se è destinato ad essere inquadrato in un'ottica evidentemente sessista l'appellativo "Tacco 12" affibbiato ad un'altra operazione piemontese, quali saranno stati i pensieri degli interessati, delle loro famiglie e dei loro amici nel momento in cui per dare un nome all'operazione del 23 gennaio scorso si è scomodata la discarica di Gerusalemme, dove le Scritture dicono che venisse mantenuto perennemente acceso il fuoco, a simboleggiare le fiamme eterne dell'inferno?
Forse qualcuno si è riconosciuto da sé solo la titolarità di quell'arcaico ius vitae ac necis del quale sembrava fossero scomparse le tracce con il lento incedere dei millenni?
Non è il caso di spendere altre parole su quanto la presentazione di quella operazione sia stata distante dall'idea di Umanità alla quale siamo tutti richiamati a proposito di altre piaghe che segnano il Nostro Tempo.
Ma a nessuno sfugge che la inopportuna ed indegna denominazione assegnata a quella operazione mortifica e vanifica l'idea di uno Stato che, lungi dall'essere autoritario, sappia e voglia recuperare nell'alveo della Legge, e con strumenti convenzionali, dunque estranei alla ritorsione ed alla estorsione, chiunque avesse umanamente sbagliato.
E, tuttavia, davanti al de profundis della funzione che la pena nel nostro Ordinamento Giuridico dovrebbe avere, lì dove la stessa fosse da comminare, ha generato solo angoscia e sconforto che uomini delle istituzioni, nel dare notizia alla pubblica opinione degli arresti del 23 gennaio scorso, non abbiano avvertito disagio nel fatto che a quell'operazione qualcuno avesse deciso di dare il nome della valle di Ennom, la Geenna appunto, maledetta e destinata ad immondezzaio della città di Gerusalemme.
Quasi che le vite umane possano meritare l'inceneritore!
"Ho la sensazione generale, io che vado nei vari tribunali d'Italia, che si coglie un certo clima" in cui "si va diffondendo una cultura più verso l'inquisizione che non verso la rigorosa critica e valutazione della prova".
Sono parole, queste, pronunciate dall'artefice del tardivo trionfo della Giustizia che tuttavia costò la vita ad Enzo Tortora, del quale in Italia non ci si potrà mai dimenticare.
Sono parole pronunciate dall'avvocato Raffaele Della Valle nella veste di difensore di uno dei soggetti interessati dall'inchiesta improvvidamente denominata "Geenna".
E quello del penalista monzese è uno spunto, serio quanto qualificato nella sua drammaticità, sul quale nessuno può evitare di riflettere senza indulgere alla umana debolezza di esser portatori di verità nè a quella di non riconoscere eguali diritti e pari dignità ai cittadini tutti della Penisola Italiana.
Altrimenti, a certa "cultura" farà da pendant la rassegnazione che vuole la punta dello Stivale come terra in cui è la vita a stare in agguato, più che la morte.
Oreste Romeo
avvocato in Reggio Calabria