Si riprende a spendere tuttavia il Paese invecchia, cresce la paura del declassamento e la sfiducia verso la politica
La ripresa economica dell'Italia c'è. Nel 2017 cresce del 2,3% la produzione industriale, meglio di quanto accada in Germania; va bene l'export, gli italiani spendono di più per coccolarsi con prodotti di bellezza, cultura e vacanze. D'altro canto, tuttavia, il Paese invecchia e perde i suoi giovani, si aggrappa al mito del "posto fisso", non è più capace di sognare e di immaginare il futuro. E così cresce quella che il Censis, nel suo 51° Rapporto sulla situazione sociale, chiama "l'Italia dei rancori".
Economia e consumi. Tutti gli indicatori economici sono in crescita, tranne gli investimenti pubblici. Vanno bene l'industria e il manifatturiero, cresce l'export e il "made in Italy" torna a brillare. Per gli italiani quindi sono finiti i duri anni del "taglia e sopravvivi": si torna a spendere per il proprio benessere (25 miliardi di euro), per andare al ristorante (80 miliardi, +5% nel biennio 2014-2016), per alberghi e per pacchetti vacanze (+10,2%), per la cultura, per prodotti alimentare di qualità (il 40,8% è disposto a spendere un po' di più per acquistarli).
L'Italia invecchia. Se il presente dà segnali positivi, il futuro preoccupa. La natalità si riduce (il tasso è fermo al 7,8 per mille con un nuovo minimo storico di nuovi nati, 473.438) e la popolazione invecchia e così il ricambio generazionale non viene assicurato. Gli over 64 anni sono il 22,3% della popolazione (13,5 milioni) e nel 2032 saliranno al 28,2%. In parallelo i trasferimenti all'estero di connazionali sono triplicati rispetto al 2010 (114.512) e la popolazione per il secondo anno consecutivo è in calo.
L'Italia dei rancori. "Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore", spiega il Censis. L'87,3% degli italiani del ceto popolare ritiene difficile salire la scala sociale. Lo stesso pensa l'83,5% del ceto medio e il 71,4% del ceto benestante. Pensa che al contrario sia facile scivolare in basso il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del ceto medio, il 62,1% dei più abbienti. Questo rende la paura del declassamento il nuovo fantasma sociale.
Immigrati poco scolarizzati. In Italia soltanto l'11,8 per cento degli stranieri non comunitari ha una laurea contro il dato medio Ue del 28,5 per cento. Nel 2016 appena il 2,8% dei 52.056 nuovi permessi rilasciati in Unione europea a lavoratori qualificati, titolari di Carta blu e ricercatori sono stati emessi in Italia. Il 90% degli stranieri non comunitari che nel nostro Paese lavorano alle dipendenze fa l'operaio (il 41% tra gli italiani) e l'8,9% l'impiegato. "Manca una visione strategica che, al di là dell'emergenza e della prima accoglienza, valuti nel medio-lungo periodo il tema della povertà dei livelli di formazione e di competenze del capitale umano che attraiamo", sottolinea il Censis.
I pochi laureati vanno all'estero. Solo il 26,2% della popolazione italiana tra i 30 e i 34 anni è laureato. Siamo penultimi in Europa, prima solo della Romania (25,6%) mentre il Regno Unito è al 48,2%. Nonostante ciò, il mercato non riesce ad assorbire i laureati. Quasi il 50% si dice pronto a trasferirsi all'estero e una delle motivazioni è economica: il Censis ha calcolato che la retribuzione mensile netta a un anno dalla laurea è di circa 1.344 euro in Italia ma arriva a 2.200 euro all'estero.
Scompaiono le figure intemedie sul lavoro. Nel periodo 2011-2016 operai e artigiani diminuiscono dell'11% e gli impiegati del 3,9%; all'opposto le professioni intellettuali invece crescono dell'11,4% e aumentano gli addetti alle vendite e ai servizi personali (+10,2%) e il personale non qualificato (+11,9%). In generale, nella ricomposizione della piramide professionale aumentano dunque le distanze tra l'area non qualificata e il vertice.
Smartphone prima del titolo di studio. "L'immaginario collettivo ha perso forza propulsiva", avverte il Censis. Non c'è più cioè quell'insieme di valori e di simboli che plasmava le aspirazioni individuali e allo stesso tempo definiva un'agenda sociale condivisa. Resistono comunque alcuni miti: tra gli under 30 c'è sempre quello del posto fisso (29,9%), superato solo dai social network (32,7%). Icone come smartphone e selfie (rispettivamente 26,9% e 23,1%) superano la prima casa di proprietà (17,9%) e il buon titolo di studio per aspirare all'ascesa sociale (14,9%).
La sfiducia nella politica. L'84% degli italiani non ha più fiducia nei partiti, il 78% del Governo, il 76% del parlamento, il 70% nelle istituzioni locali. Il 64% pensa che la voce del cittadino non conti alcunché, il 75% è critico verso la fornitura dei servizi pubblici e sei italiani su dieci sono indossidsfatti di come funziona la democrazia in Italia. "Non sorprende che i gruppi sociali più destrutturati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle sirene del populismo e del sovranismo", si legge nel rapporto.
Clara Rossi