AOSTA. Abbiamo incontrato il Presidente della Regione, Laurent Viérin, per conoscerlo in un modo diverso da quello a cui siamo abituati in ambito politico. Convinti che sia importante cercare di dare un volto a chi ci rappresenta, abbiamo cercato di scoprire la persona dietro alla figura istituzionale.
Quando e come è entrato in politica?
«Intanto la passione per la politica nasce da bambino.. si organizzavano, ad Aosta, i Rendez-Vous Valdôtains. Erano un po' come i festival dell'Unità, ma dell'Union Valdôtaine, e frequentando questi ambienti, come facevano tante famiglie Valdostane, mi sono appassionato. C'era anche l'intrattenimento per i più piccoli attraverso delle ludoteche e l'animazione del teatro popolare. Erano gli anni di Maura Susanna e dei centri culturali sul territorio e quindi una prima passione ideale, più che politica, è nata sicuramente attraverso questo momento che ricordo con grande piacere. Furono gli anni di grande fermento culturale in cui era stata anche messa a rischio l'identità valdostana, il Patois soprattutto, e lì nacque peraltro anche una passione per il teatro. In quegli anni sicuramente maturò in me qualcosa aldilà degli ambienti famigliari. Ricordo le riunioni sindacali, le discussioni politiche... mia madre, che purtroppo non ho più, un anno mi mandò delle foto che ritraevano queste scene in cui noi vivevamo, aldilà dell'aspetto ludico, certamente anche dei fermenti di ideali. Poi mi sono avvicinato alla Jeunesse Valdôtaine, prima come militante e poi come responsabile. Per l'ambito amministrativo, cominciai in quello del mio comune perché la palestra per tanti amministratori è un po' quella. Decisi quindi di impegnarmi per il mio comune».
Cosa la spingeva da giovane militante?
«Impegnarsi per qualcosa in cui si crede. Per esempio io al mio comune tengo tanto, quindi riuscire a trasferire quelle che erano le mie idee all'interno di un'amministrazione comunale è stato importante così come ricevere la conoscenza da parte di chi ha esperienza in tante cose. In famiglia, mio nonno mi ha trasmesso la conoscenza del territorio. Gli ideali erano quelli dell'autonomia della Valle d'Aosta e dell'autodeterminazione del nostro popolo. Sono molto appassionato anche di minoranze linguistiche. Una passione che nasce da qualcosa che avevo dentro e poi si è traferita anche in amministrazione e in tanti anni di militanza. La prima esperienza che mi ricordo è quella del 1987. Ci portarono, sempre attraverso questo Rendez-vous, alla Batailles des Reines di Brissogne a volantinare per le elezioni politiche dell'87».
E l'influenza personale, da uomo intendo, da dove arriva?
«Io ero molto legato a mia madre, con lei ho avuto ho avuto un rapporto particolare e molto stretto. Mio papà faceva il Preside e faceva sindacato ed era molto impegnato anche in amministrazione comunale quindi c'era raramente. Io e mio fratello siamo quindi cresciuti soprattutto con mia mamma».
Era Valdostana mamma?
«Mia mamma era del primo comune in Savoia dietro la Thuile, quindi io sono il primo progetto transfrontaliero della Valle d'Aosta...» ( ride n.d.r.)
Me la descrive in tre parole?
«Sorridente, solare, disponibile. Con tutti, sempre».
Se le dico Patois, cosa mi risponde?
«Rispondo che quando si dice che è la lingua materna non è così. Mia mamma capiva il Patois ma non lo parlava e io l'italiano l'ho imparato andando a scuola. Prima non lo conoscevo. In casa si parlava Patois e Francese. Con mamma parlavo Francese quindi io sono l'esempio vivente che la lingua madre non è per forza quella parlata dalla mamma, ma è quella dell'ambiente famigliare.. la lingua che uno sente sua è quella in cui uno pensa. Io penso in Patois».
Cos'è l'identità di un territorio?
«L'identità di un territorio è il riconoscersi in un luogo fisico, e ciò non avviene in tanti posti. Riconoscersi in un territorio, la Valle d'Aosta, che ha in sé delle caratteristiche culturali identitarie. Sentirsi Valdostano è appartenere a una comunità che ha un legame forte con il territorio e con ciò che rappresenta, peculiarità di chi vive qui da sempre assieme a chi è venuto a viverci. La lingua è una delle caratteristiche di questa identità. Una comunità rurale, che ha diverse lingue e radicata alle tradizioni anche millenarie come i famosi riti di passaggio (la tradizione di andare a buttare la segatura quando qualcuno si sposa per asciugare le lacrime degli ex fidanzati, piuttosto che a San Giuseppe portare sulla piazza i pezzi di legno o l'asta degli animali a Sant'Antonio)... tutto ciò che fa parte del patrimonio culturale. Ma un'identità può essere eterna solo se si trasmette agli altri, come quando si è permesso di accedere anche al Patois attraverso L'ècole populaire. Certe cose vanno tenute vive. Questo è un esempio per dire che un'identità può diventare eterna se è traferita, aldilà di chi ce l'ha perché è nato qui, anche a chi viene da fuori e si riconosce in questi valori che sono linguistici, ma non solo. Difficilmente si trovano comunità che hanno saputo mantenere ciò che la Valle d'Aosta ha saputo mantenere».
Cosa l'appassiona?
Sono una persona curiosa, sono appassionato di teatro, libri gialli. La cultura mi appassiona, la conoscenza dei popoli, delle comunità e delle minoranze. Di tutto ciò che c'è dietro una facciata. Che sia una persona, una comunità o un dossier, mi piace molto scoprire cosa c'è dietro e le radici di certe cose».
Perchè il teatro?
«Perché il teatro fa ridere, sorridere e riflettere. E' anche un modo ironico per riflettere su certe tematiche, un tramite per lanciare dei messaggi importanti, sorridendo».
E'un nostalgico?
«Nostalgico no. Dico sempre che non bisogna vivere con gli specchietti retrovisori. Se gli occhi ce li hanno messi davanti è per guardare avanti. Quindi sono molto pragmatico nel guardare avanti, però sono molto legato anche a quelle che sono le mie radici... alla storia dalla quale veniamo. Bisogna essere "glocali, globali e locali. Io mi sento molto così: profondamente radicato alla mia terra ma anche entusiasta di vivere l'evoluzione che questa terra avrà».
In cosa risiede il valore di un uomo?
«Il valore è ciò che si ha dentro ed è ciò per cui una persona può dare tutto. E' credere quotidianamente nelle proprie idee e difenderle sempre».
Mi dice cos'è, per lei, un compromesso?
«Putroppo un compromesso è calcolare quanto sia importante riuscire a portare avanti i propri principi e ideali mediando con qualcuno che magari ha idee più sfumate. Noi in questa legislatura, malgrado la nostra idea netta di cambiamento, abbiamo dovuto trovare dei compromessi per portare avanti comunque le idee che sono nostre».
Fa parte della politica il compromesso?
«E' forse la parte più difficile da accettare, sì. La politica è la vita però. Io dico sempre che la politica è semplicemente il riflesso della vita. Nella vita cercano di farti lo sgambetto e qui te lo fanno in modo più rapido... In politica è solo tutto più veloce. E quindi io non mi sento un politico, mi sento più amministratore, ecco».
Da uomo cosa la spaventa?
«Diciamo che lo spavento è una sensazione che si prova quando avvengono delle tragedie, delle cose più grandi di noi. Prima del 2015 avrei risposto diversamente questa domanda. L'esperienza della malattia di mia madre, di vedere soffrire qualcuno che è veramente parte di te e di cui vorresti tu stesso portare le sofferenze pur di non fargliele vivere… quando vivi queste esperienze, non hai più grandi cose che ti spaventano. E' brutto da dire, lo so, ma ho assistito mia madre per circa otto mesi. Passato questo, non credo ci sia un dolore più grande ad oggi io possa provare o temere».
Traguardi raggiunti e da raggiungere in ambito personale?
«Raggiunti tanti e in diversi ambiti. Da raggiungere in ambito personale sicuramente quello di costruire una famiglia propria».
Mi dice uno "scusa" e un "grazie" per qualcuno?
«Nella vita si corre, si corre e poi quando perdi qualcuno di molto caro vorresti scusarti per non avergli dedicato più tempo. Chiederei scusa a mia madre per non averle dedicato più tempo, specialmente negli ultimi anni. Il grazie a tutti gli amici veri, che lo sono da sempre e che si vedono e si sono visti nei momenti di difficoltà e sofferenza. Grazie».
Adriana Guzzi