'La 'ndrangheta minaccia la democrazia, ma la politica minimizza'

Intervista a Donatella Corti di Libera Valle d'Aosta. 'La mafia silente vuole evitare che si parli di sé: per combatterla bisogna sensibilizzare i giovani e informare i cittadini'

 

Donatella CortiAOSTA. Nel 2012, le edizioni "Beccogiallo" hanno stampato un libro a fumetti che racconta gli ultimi 57 giorni del dott. Paolo Borsellino dal titolo: "Paolo Borsellino. L'agenda rossa". 

Sulla copertina è riportata una frase di Borsellino: "Parlate della mafia, parlatene sui giornali, alla radio, in televisione, però parlatene".

In questi giorni in cui si sta celebrando il processo Geenna, il primo sull'esistenza della 'ndrangheta in Valle d'Aosta, che il 17 luglio 2020 ha già visto una prima sentenza di condanna di alcuni imputati dal Tribunale di Torino, accogliamo l'invito del magistrato e ne parliamo con Donatella Corti.

Donatella Corti è insegnante di filosofia presso il liceo scientifico di Aosta ed è presidente di Libera Valle d'Aosta.

"Libera dalle mafie", ora conosciuta come "Libera" è stata fondata da Don Ciotti nel 1995. Per non incorrere in errori riportiamo la definizione dal sito ufficiale Libera.it: "Libera è una rete di associazioni, cooperative sociali, movimenti e gruppi, scuole, sindacati, diocesi e parrocchie, gruppi scout, coinvolti in un impegno non solo"contro" le mafie, la corruzione, i fenomeni di criminalità e chi li alimenta, ma profondamente"per": per la giustizia sociale, per la ricerca di verità, per la tutela dei diritti, per una politica trasparente, per una legalità democratica fondata sull'uguaglianza, per una memoria viva e condivisa, per una cittadinanza all'altezza dello spirito e delle speranze della Costituzione. Nata nel 1995, in questi anni ha mantenuto fede a alcuni orientamenti etici e pratici. Il primo è la continuità. Si possono avere belle idee di partenza, ma poi bisogna realizzarle con la tenacia e l'impegno quotidiano. Il secondo è la proposta. Il contrasto alle mafie e alla corruzione non può reggersi solo sull'indignazione: deve seguire la proposta e il progetto. Il terzo è stato il "noi", cioè la condivisione e la corresponsabilità. Le mafie e la corruzione sono un problema non solo criminale ma sociale e culturale, da affrontare unendo le forze."

Venerdi 17 luglio 2020 intorno alle ore 15,00 il G.U.P. del Tribunale di Torino, Alessandra Danieli, ha dato lettura al dispositivo di sentenza con il quale conferma l'esistenza di una struttura operativa della 'ndrangheta in Valle d'Aosta.

È palese che si tratti di un riconoscimento giudiziario di ciò che dicevano da anni: forze dell'Ordine, commissioni parlamentari e associazioni antimafia. 

Nel comunicato stampa di Libera Valle d'Aosta, avete denunciato la dolosa sottovalutazione del fenomeno in Valle d'Aosta, definita da sempre "isola felice". Che spiegazione, se ce n'è una, di questo atteggiamento?
"Proprio nel 2017 Libera Valle d'Aosta ha pubblicato uno studio, esito di un sondaggio, per comprendere la percezione del fenomeno mafioso e corruttivo sul proprio territorio. Il primo dato evidente fu che soprattutto i giovani risposero al sondaggio, forse perché maggiormente sensibilizzati nel contesto scolastico, anche se ciò che colpiva dall'analisi dei dati fu che le mafie non fossero considerate pericolose dal punto di vista sociale, almeno non nel nostro territorio. La cosiddetta "mafia silente", che qui si è diffusa, ha ottenuto esattamente il suo scopo, quello cioè di non mettere in allarme, di passare inosservata per poter svolgere indisturbata i propri interessi. Dall'inchiesta Geenna, dalle parole dei collaboratori sentiti durante il dibattimento a Torino nell'aula bunker delle Vallette, emerge chiaramente questa strategia operativa. Dunque purtroppo potremmo dire che se l'allarme sociale non è cresciuto e se il fenomeno è stato sottovalutato, è perché la strategia di penetrazione del territorio della 'ndrangheta è stata efficace. Inoltre il costume già in uso nella nostra regione di cercare di ottenere il rispetto dei propri diritti tramite favori, si è certamente rivelato efficace anche per la diffusione della 'ndrangheta stessa".

La 'ndrangheta è un fenomeno criminale che ha avuto origine nella prima metà del 1800, nel regno delle due Sicilie, con la fine dei diritti feudali, voluto da Giuseppe Bonaparte. In poco più di un secolo la 'ndrangheta è diventata la più potente e ricca organizzazione criminale mondiale. Dal vostro osservatorio, perché nella società, non solo in quella valdostana, esiste ancora l'idea che sia un problema meridionale? Una sapiente strategia o semplicemente ignoranza storico/sociale?
"L'immaginario collettivo si forma anche a partire da narrazioni cinematografiche, racconti, romanzi, ecc, che se hanno il pregio di sintetizzare i fenomeni, non possono essere lasciati come unico strumento per comprendere la realtà. Dunque la narrazione del fenomeno ha sicuramente influito sulla percezione dello stesso. Questa narrazione che si scardina solo tramite la cultura, lo studio, la lettura, la conoscenza delle indagini, la presenza ai processi. In questo occorre unità di intenti: non è solo il Nord a dover compiere uno sforzo di comprensione e aggiornamento del fenomeno, ma anche il Sud che deve saper guardare oltre la problematica locale ed avere una visione maggiormente globale delle mafie. L'utilizzo del plurale vuole infatti sottolineare che di organizzazioni criminali a stampo mafioso ne esistono diverse e se hanno origini in territori e regioni differenti, poi si diffondono perché l'obiettivo delle mafie è quello di perseguire la ricchezza e il potere. L'attuale strategia delle mafie è, a mio parere, quella della normalizzazione, se non, in alcuni casi, quella di una contro narrazione dove gli eroi sono ragazzi che incarnano gli interessi mafiosi stessi e si propongono ai giovani come modelli di successo: mi riferisco ad alcune serie televisive, a canzoni o a campagne commerciali dove i locali si chiamano "Mafia" o "Pizza connetion".

Il 1 dicembre 2017, Massimiliano Nerozzi, in un articolo sul Corriere della Sera, racconta della collaborazione di Domenico Agresta, detto "Micu Mc Donald". Nell'articolo c'è un passo molto interessante delle dichiarazioni del giovane mafioso: "La scuola mi ha dato conoscenza". Tanto da andare contro i propri parenti, che ora accusa: "Ho capito che quel che mi aveva detto la mia famiglia era tutto sbagliato". Lei è insegnante: quanto la cultura - quella vera, non il nozionismo - può essere un'arma vincente verso la 'ndrangheta?
"In aula, alle Vallette, sentendo le dichiarazioni di Agresta, mi sono commossa profondamente: quest'affermazione rappresenta per me il vero significato del nostro lavoro, la possibilità cioè di far nascere nei giovani, negli studenti, la curiosità, il desiderio di scoprire altri punti di vista e soprattutto far dialogare i punti di vista. Sono un'insegnante di filosofia ed in questo la mia disciplina mi offre ampio margine. Quando i miei studenti rimangono sconcertati dalle diverse e opposte modalità con cui rispondere ad una domanda, per me questo rappresenta la nascita del pensiero critico e questo è lo scopo della scuola, dell'insegnamento: stimolare il pensiero, la voglia di porsi domande, comprendere le diverse risposte e avere la consapevolezza del fatto che l'azione sia sempre collegata ad un pensiero, sia che venga esplicitato, sia che non lo si conosca: comprendere cosa sia l'etica, cosa sia il Bene forse non basta a compierlo, ma è certamente un buon deterrente per riflettere su quale strada camminare".

Esiste nei giovani la consapevolezza della pericolosità del fenomeno?
"Per la mia esperienza, sia come docente che come fondatrice del presidio di Libera "Antonio Landieri – Marcella di Levrano" di Aosta, legato inizialmente alle sole attività teatrali, posso dire che i ragazzi si lasciano interrogare dalle ingiustizie, dalle vicende di persone, anche comuni, il cui destino si è fatalmente incrociato con quello delle mafie. Ciò che spinge i ragazzi all'impegno è il bisogno di giustizia e di verità che il fenomeno mafioso compromette irrimediabilmente. La consapevolezza però è legata al loro cammino di conoscenza e di esperienza: incontrare i familiari di una vittima innocente di mafia aiuta a comprenderne la pericolosità meglio di qualsiasi conferenza o libro. La consapevolezza è però sempre proporzionale alla conoscenza ed all'esperienza".

Nel catechismo cristiano cattolico viene insegnato che il demonio vince perché ha convinto la maggioranza degli uomini della sua non esistenza. In questo la 'ndrangheta, la mafia in generale, è diabolica. Dal vostro osservatorio è ancora radicata l'idea di un'organizzazione rurale, quattro ignoranti con la giacca di fustagno la cartucciera alla cintola, la coppola e la doppietta alla spalla?
"Direi che non c'è niente di più lontano da ciò che oggi sono le mafie. Certamente esistono ancora persone che, a causa della propria limitatezza, della propria appartenenza familiare e ambientale, entrano nel mondo della criminalità organizzata pensando di aver trovato una propria collocazione sociale, ma ahimé, come ebbe già a scrivere Nando dalla Chiesa nel suo Manifesto dell'antimafia: "la forza della mafia sta fuori dalla mafia" perché incrocia interessi economici che se mai trovano in una società complessa, istruita e mimetizzata, una vera forza eversiva. "La vera forza della mafia sta fuori della mafia", sta cioè nelle nostre debolezze, negli ordini professionali che chiudono un occhio alle false perizie, negli amministratori che accettano o cercano voti sospettabili, nelle omissioni del quieto vivere, nei funzionari di banca che fingono di non vedere i movimenti sospetti, nella cattiva informazione, nelle diffuse debolezze culturali".

Quanto la società è consapevole che l'infiltrazione del potere mafioso nella politica è un pericolo mortale per l'esistenza della democrazia?
"É una domanda a cui non si può rispondere in modo affermativo: purtroppo è proprio la politica talvolta ad andare a cercare la mafie per costruire il consenso, non volendo guardare l'orizzonte più ampio che prospetterebbe la ricattabilità del politico stesso dal momento che ha avuto il potere con questo tipo di aiuti. Alla base del fenomeno mafioso vi è la corruzione, il non guardare al Bene comune, ma solo alla propria carriera, cioè a dire, la proprio portafoglio".

Lenin nel 1901 scrisse "Che fare?". Prendo spunto dal titolo, adesso che non è più possibile negare l'esistenza della 'ndrangheta in Valle d'Aosta, chiedere "Che fare" per cercare di creare una coscienza antimafia in Valle d'Aosta?
"Il "che fare" di Libera sarà un proseguire sulla strada di quanto fatto, cioè gli incontri nelle scuole, la sensibilizzazione della cittadinanza per una migliore comprensione del fenomeno e ancora insistere con le attività per i giovani, lavorare, come stiamo facendo, per la costruzione di una mostra interattiva sul pretore Giovanni Selis, ed in ultimo, provare ad aprire una "scuola" per la cittadinanza "monitorante", cioè per cittadini che si pongano come obiettivo quello di vigilare sulla vita pubblica del proprio comune, della propria regione".

Libera ha attivato un numero verde per denunciare fenomeni di corruzione e usura. Due terreni in cui la 'ndrangheta ha sviluppato il suo potere. Senza entrare nei particolari, avete avuto segnalazioni?
"Sì abbiamo avuto segnalazioni e abbiamo personalmente organizzato incontri con le persone preposte a questa attività".

Stupefacenti: la grande industria della 'ndrangheta. Don Ciotti nel 1975 era fra i promotori della prima legge in Italia che sanciva la differenza tra il consumatore, persona da curare, e lo spacciatore o trafficante, criminale da punire penalmente. Dal suo osservatorio di insegnante, come è stato possibile la normalizazione del problema droga, soprattutto nell'abuso di marijuana considerata quasi meno pericolosa del tabacco?
"Spesso non si riflette sul rapporto tra la singola azione e lo svilupparsi del problema: quando dico ai ragazzi che il consumo anche di un singolo stupefacente aiuta le mafie, questo lascia perplessi, quando però poi si spiegano le modalità con cui la droga viene distribuita, allora la riflessione diviene più interessante e complessa. Uno degli ultimi di libri di don Ciotti si intitola "Droga. Storie che ci riguardano": di nuovo è la consapevolezza che aiuta più di qualunque paura".

In questi giorni sulle pagine dei giornali c'è silenzio da parte delle forze politiche, fatta eccezione per quache distinguo di alcuni citati da Raso Antonio. Come lo giudica questa mancata presa di posizione?
"Ne abbiamo parlato proprio nella nostra segreteria regionale: in effetti siamo rimasti piuttosto sconcertati del fatto che solo pochi politici abbiano commentato quanto accaduto. Se volessi essere più superficiale direi che siamo in campagna elettorale e allora è meglio non sbilanciarsi troppo, se cerco di essere maggiormente analitica direi che di nuovo, purtroppo, la politica sottovaluta, minimizza perché non sente la minaccia che la 'ndrangheta compie alla vita democratica. Questa "mafia silente" ottiene esattamente quello che si prefigge: evitare che si parli di sé".

Per concludere, ritiene possibile e soprattutto utile la creazione di un centro studi sulla legalità e le mafie in Valle d'Aosta?
"Lo riterrei auspicabile: soprattutto una collaborazione con l'Università, un corso per docenti che intendano occuparsi dell'insegnamento di Cittadinanza e Costituzione, oltre che la possibilità di sostenere coloro che, a diverso titolo, e con differenti linguaggi culturali, cercano di studiare il fenomeno mafioso e portare a conoscenza della popolazione, della vita politica e sociale della nostra regione questo stesso fenomeno che ormai, possiamo dire in modo certificato, che esiste ed opera anche in Valle d'Aosta".

 

Cesare Neroni

 

 

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