Petrolio, il crollo dei consumi e il prezzo del carburante tra gabelle e politica internazionale

In Italia prezzi fuori dalle logiche di mercato. Il surplus nelle tasche di Cda costosissimi, presidenti superpagati e partiti

 

Prezzo del carburante

AOSTA. Come se non fosse abbastanza la crisi Coronavirus nell’ottica della salute pubblica, si staglia all’orizzonte una delle più profonde crisi dell’era del consumismo negli ultimi venti anni. Neanche la guerra con l’Iraq e l’invasione del Kuwait dei primi anni 2000 avevano avuto conseguenze di siffatta natura sul versante dell’economia mondiale, ma si sa che al peggio non esiste mai limite.

Così, dopo un frastuono iniziale sul crollo del petrolio sul mercato mondiale, la parola d’ordine oggi è tacere su tutti i fronti sperando in una distrazione generale per evitare domande scomode e soprattutto imbarazzanti verità.

In questi giorni le due principali piazze commerciali, Londra con il Brent ed i mercati del mare del nord e NY con il WTI, registrano un crollo delle quotazioni in borsa del prodotto di oltre il 45% portando la valutazione dello stesso intorno ai 16 USD al barile (Un barile corrisponde a circa 159 litri di greggio)
Nella valutazione dei mercati sui titoli future del petrolio, quei titoli che si acquistano oggi e si rivendono nell’immediatezza con scadenza trimestrale o più ad un prezzo rivalutato in base alla speranza di crescita del mercato, il Petrolio ha un costo stimabile in area negativa , cioè a meno 37 USD Barile.

Questo non vuol dire che il produttore è disponibile a dare del denaro a chi acquista ma, indubbiamente, la sensazione a pelle risulterebbe questa. Ma perché questo prodotto, così determinante nelle economie di tutto il pianeta, subisce deprezzamenti così altalenanti e pericolosamente schizofrenici? Il motivo è semplice ed è legato al rapporto tra domanda ed offerta.

Russia, Cina, USA, Paesi Arabi sono le quattro gambe del tavolino su cui poggiano le trattative in essere e, se per i due colossi Russia e USA può valere la discriminante delle minori o maggiori quote di esportazione, per la Cina tutto ciò è molto relativo in quanto il consumo interno obbliga all’importazione di prodotto e, guarda caso, i maggiori produttori sono i Paesi Arabi laddove il consumo interno non è certamente assorbente e quindi l’export è la principale fonte di arricchimento per sultani, sceicchi, dittatori.

Oltre il 90% della produzione araba è destinata all’esportazione e viene più o meno equamente suddivisa tra i tre compratori sopra indicati. Il prezzo viene stabilito dagli Arabi e concordato con gli altri nella misura in cui questi ultimi sono disponibili a pagare in USD o in Armi, sempre utili per mantenere il governo di quelle Regioni.

Anche l’Europa fa la sua parte e paesi come Francia ed Italia si contendono quote residuali di quel mercato senza peraltro poter incidere nelle trattative. Certo che di fronte alla possibilità di sottrarsi un giacimento vicendevolmente nel vecchio continente non si guarda in faccia a nessuno ma, purtroppo per noi, coloro che decidono sono altri.

E così di fronte ad un crollo dei consumi a causa della pandemia (meno 80% nel primo trimestre del corrente anno) anche i maggiori importatori hanno dovuto calmierare sia la produzione interna (sufficiente per i fabbisogni correnti e ripristino delle scorte) che l’acquisto dalle fonti primarie generando accumulo di scorte nei Paesi Arabi che hanno così registrato un sostanziale rallentamento dei flussi finanziari in entrata ed un preoccupante ammasso di stoccaggio stante la difficoltà ed antieconomicità del rallentamento della produzione.

Per avere un dato realistico in casa nostra basti pensare che ENI nel primo trimestre del 2020 ha registrato una perdita secca di 2,93 MLD, una cifra che, rapportata ad analoga esposizione di molti altri paesi europei, ha costretto i maggiori produttori a sedersi intorno ad un tavolo per individuare un modo accettabile di riduzione della produzione aumentando il prezzo fino a coprire i minori flussi ed i maggiori costi relativi.

Ma si sa bene che toccare il portafoglio gonfio di chi è abituato a spendere senza preoccupazione genera sempre reazioni incontrollate e così, di fronte alla buona volontà dichiarata (ma non si sa quanto realmente attuata) dei blocchi continentali, è stato opposto il diniego dei Paesi Arabi che, in una belligerante riunione dell’OPEC non solo ha negato ogni possibile riduzione nell’estrazione dell’oro nero ma, anzi, ha iniziato una corsa al ribasso dei prezzi causando una crisi senza precedenti a cui, stando alle ultime indiscrezioni di mercato, solo Russia e Cina hanno la possibilità di opporre resistenza.

Il Gasolio viene oggi venduto a quotazioni talmente basse da rendere inutile ogni organizzazione di vendita intermedia e così le compagnie, almeno in Italia, si sono attestate in una fascia di prezzo che varia, per i distributori automatici, dai 1,30 a1,45 litro, prezzo assolutamente non rispondente alle logiche di mercato visto che le pompe bianche, quelle al di fuori dei brand canonici, offrono il prodotto tra 1,09 e 1,20.

Tradotto commercialmente, dal consumo all’ingrosso uno spread di poco inferiore ai 25 centesimi.

Infatti il gasolio in alcune zone del paese Italia si rifornisce a poco più di 0,88 oltre IVA e se ci addentriamo anche tra i prodotti agevolati per agricoltura il prodotto è reperibile a 0,50 IVA compresa.

Chiaramente tutto questo non solo favorisce l'uso improprio delle agevolazioni di Stato (diciamo pure contrabbando), ma evidenzia il problema di quanto le compagnie hanno lucrato fino ad oggi sui poveri compratori visto il prodotto industriale sconta un prezzo di appena poco sopra i 0,25 litro.

Tra tasse, imposte e gabelle varie si poteva giungere ai livelli odierni ed allora quel surplus dove è andato a finire in tutti questi anni? La risposta è semplice, nelle tasche dei manovratori del sistema, compagnie petrolifere con CDA costosissimi, presidenti strapagati e finanziamenti ai partiti (tutti nessuno escluso).
Come se non bastasse il sistema di vendita esistente in Italia fa pagare le accise alle compagnie in forma agevolata con conversione a 15° consentendo alle stesse di rivenderlo al consumo a temperatura ambiente gravando il costo di almeno il 3% sul volume ed il 4% sulle accise.

Denari che sono finiti in un pozzo nero dove nessuno vuole andare a guardare per evitare brutte sorprese.

Detto questo rimane la domanda iniziale. Se oggi i future scontano sul petrolio meno 37 USD barile, chi paga la differenza? Tranquilli tutti, ora ci sarà un po' di silenzio e poi pagheremo noi, ovviamente, dando la colpa al COVID 19 e non alla bramosia smodata di chi governa il sistema.

 

Fabrizio Camilli

 

 

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