Da Nord a Sud arrivano le richieste di aprire nuove case da gioco come soluzione economico-turistica
Il rinvio della presentazione del decreto attuativo in materia di giochi ha di fatto aperto nel riassetto dell'offerta del gaming nazionale un fronte assai complesso: i casinò nostrani. Non solo la situazione relativa alle quattro case da gioco esistenti, ma tutta la spinta ad aprirne di nuovi sul territorio italiano. Il tempo tecnicamente sembra esserci perché la Delega di fatto "scade" (prorogata dal 27 marzo scorso) il prossimo 26 settembre (l'espressione dei pareri parlamentari avviene nei trenta giorni che precedono quest'ultima data). La materia, almeno fino all'ultima bozza circolante che l'agenzia Il Velino ha potuto visionare, era estranea al riordino che ha impegnato i tecnici del MEF e del Governo sul gioco pubblico, che nel comparto specifico coinvolgerebbe poi in maniera diretta anche il Viminale.
CASINO' E LA LEGGE ITALIANA - La legislazione sui casinò è la più vecchia e risale addirittura ai regi decreti di età pre-repubblicana e il dibattito sulla possibilità di aprire altre sedi si rinnova ciclicamente, a volte con il paradosso che enormi strutture esistono e non sono mai state autorizzate ad offrire gioco. La Corte Costituzionale ha più volte chiesto al legislatore di fare chiarezza e porre regole certe: l'ultimo caso risale al 2002 con il tentativo della regione Friuli-Venezia Giulia che nonostante la propria autonomia legislativa fu stoppata dall'intervento della Consulta. L'allora ministro del turismo Brambilla depositò una proposta di legge perché ogni albergo a 5 stelle sul territorio potesse diventare un casinò; anche questa non arrivò mai ad essere incardinata. Proprio le potenzialità di rilancio di località o zone a vocazione turistica è uno dei leit motiv che più di tutti vengono adottati per ripresentare la querelle nuove aperture.Lo stesso Baretta in prima persona ha parlato della possibilità al vaglio del Governo che il decreto attuativo dell'art 14 contenga anche la revisione del sistema delle case da gioco, vagliando sia le criticità della via italiana, che i modelli stranieri come in Svezia o Slovenia con le case da gioco gestite da un'unica società pubblica.
LE QUATTRO CASE DA GIOCO - Da un lato la nota crisi dei quattro casinò esistenti, unica voce con segno meno negli anni del boom della raccolta di tutto il resto del gioco (2008-2012). I piani di riordino straordinari sono tutti inevitabilmente improtati alle ricette lacrime e sangue per i lavoratori, con tutte le conseguenze sociali e sindacali sui territori. I tentativi in questo senso sono passati anche attraverso cambiamenti degli assetti societari che hanno portato le proprietà ad essere quasi al 100% facenti capo ai comuni di San Remo, Venezia e Campione e alla Regione nel caso di Saint-Vincent. E per questi enti pubblici è difficile trovare una soluzione: basti pensare che a Venezia è stata esplorato il tentativo di privatizzazione andato inevaso.
LE PROPOSTE IN POLE – San Pellegrino Terme con la sua richiesta di apertura è approdato in Parlamento con diverse interrogazioni di aria leghista anche all'ultima Legge di Stabilità e nei giorni scorsi il primo cittadino dopo aver coinvolto anche la Regione Lombandia (una mozione è stata approvata lo scorso gennaio al Pirellone) ha chiesto aiuto a tutti parlamentati lombardi per fare in modo che la casa da gioco che rimase aperta per una breve parentesi dal 1907 al 1917, diventasse il quinto casinò italiano. Ma il fronte non è solo nordico; è dalla Sicilia che arriva la stessa richiesta con Taormina in testa, che diventino addirittura otto le case da gioco. Anche qui sono le forze politiche regionali/indipendentiste a spingere per questa soluzione giudicata capace di stabilizzare i flussi turistici e, perché no, frenare l'offerta off shore della vicina Malta.
Clara Rossi