Jobs act, Renzi incassa ma la minoranza interna è in ebollizione

Draghi: "Jobs act non causerà licenziamenti di massa. Chi voleva licenziare lo ha già fatto"

ROMA. All'indomani della fiducia incassata sul jobs act al Senato Matteo Renzi esulta ma, visto il tono di alcune reazioni politiche all'interno del Pd, è lecito pensare che la vittoria di ieri non mancherà di produrre conseguenze. In mattinata il premier, entrando alla riunione della segreteria del partito, ha sottolineato con orgoglio il fatto che i voti favorevoli al governo abbiano superato il recinto della maggioranza, e allo stesso tempo ha ringraziato i suoi senatori, compreso il dimissionario Walter Tocci, al quale ha lanciato un appello per tornare sui propri passi. Appello, a quanto pare, respinto al mittente dal diretto interessato, che a questo punto rischia di innescare un “effetto domino” dentro la minoranza del partito. Le note dolenti non mancano: il fronte dei dissidenti, per Renzi, è molto caldo, visto che ieri sera tre senatori del partito (Felice Casson, Lucrezia Ricchiuti e Corradino Mineo) non hanno partecipato al voto di fiducia, e per loro il vicesegretario Lorenzo Guerini non ha escluso provvedimenti disciplinari, mentre a Montecitorio i “big” dell'opposizione interna a Renzi preparano la “battaglia” in vista dell'approdo del jobs act a Montecitorio, anche se non sembra esserci identità di vedute tra le diverse anime.

Il più esplicito, come sempre, è Pippo Civati, il quale ha detto chiaro e tondo che non voterà la fiducia, se questa dovesse essere chiesta anche alla Camera: “Massima solidarietà – ha detto Civati - a chi, come Tocci, si è dimesso, ma grande solidarietà anche a tutti quei senatori che, pur non dimettendosi, hanno votato sì dicendo però ‘no' a questa riforma. Ho detto che se fossi stato un senatore non avrei partecipato al voto – ha aggiunto - mi pare chiaro che, se questo dovesse avvenire alla Camera, mi comporterei di conseguenza”. Ma anche Stefano Fassina, seppure in modo più sfumato, non esclude altri casi Tocci: “C'è grandissima preoccupazione e sofferenza – ha detto - di una parte dei gruppi parlamentari, che non e' determinata da casi individuali ma che rappresenta la preoccupazione di un pezzo molto significativo del nostro mondo”. La minoranza del Pd, attraverso l'ex-ministro Cesare Damiano riproporrà gli emendamenti bocciati al Senato in commissione, ma sulle iniziative politiche da adottare non c'è piena sintonia: Gianni Cuperlo ha infatti annunciato un documento sul quale andranno verificate le convergenze. Bersani, alla Camera per la presentazione di un libro, ha affermato di "voler credere che ci sia sia lo spazio che il tempo per introdurre modifiche" al testo approvto al Senato.

Intanto, Guerini ha annunciato che le questioni relative all'organizzazione del partito andranno affrontate nella prossima Direzione del 20 ottobre, ed è verosimile che in quella sede si parli anche dei dissidenti. Sulla questione, Civati ha già detto la sua: “Non si può avere un partito all'americana, con eletti con le primarie e poi immaginare che ci sia una disciplina di stampo sovietico. Se ci sara' un intervento disciplinare – ha aggiunto - credo che si aprirà un bel dibattito sulla democrazia interna”.

Sulla riforma del lavoro interviene anche il presidente della Bce. Il Jobs act "non causerà licenziamenti di massa" in Italia: il Paese "è stato in recessione così a lungo che le imprese che volevano licenziare lo hanno già fatto",  ha affermato Mario Draghi intervenendo alla Brookings Institution a Washington, dove si trova per le riunioni d'autunno del Fondo monetario internazionale. Più in generale, ha sottolineato, le riforme del mercato del lavoro devono rendere più facile per le aziende assumere giovani, non licenziarli.

 

Clara Rossi

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