Patrocinio gratuito: troppe furbette


La Cassazione specifica (Civile, ordinanza n. 18134 del 26.06.2023) che i redditi da tener presenti per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato sono costituiti dalla somma dei redditi di ogni componente dello Stato di famiglia del richiedente relativi all’anno precedente o agli anni in cui è si è celebrato il procedimento. I redditi del convivente more uxorio devono essere dichiarati dal richiedente il beneficio.

La Suprema Corte, in questa ordinanza, formula importanti precisazioni in merito al termine “rapporti familiari” e alle convivenze di fatto.

Il legislatore – si legge nell’ordinanza - ha voluto tenere conto della capacità economico-finanziaria di tutti coloro che, per legami giuridici o di fatto, comunque concorrono a formare il reddito familiare del soggetto richiedente il beneficio; e ciò in quanto non sarebbe conforme ai principi costituzionali di solidarietà, di equa distribuzione e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune attraverso il prelievo fiscale il fatto di gravare i contribuenti del costo della difesa di chi può fruire dell'apporto economico dei vari componenti il nucleo familiare, ancorché il suo reddito personale gli consenta di accedere al beneficio.

(…) Deve, pertanto, ritenersi costituzionalmente orientata l'interpretazione della norma che considera "familiari" non soltanto coloro i quali sono legati all'istante da vincoli di consanguineità o comunque giuridici, ma anche quanti convivono con lui e contribuiscono al ménage familiare”.

“E' stato, inoltre, precisato che, in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il rapporto di convivenza familiare, essendo caratterizzato da continuativi rapporti di affetto, da costante comunanza di interessi e responsabilità, e dunque da un legame stabile e duraturo, prescinde dalla coabitazione fisica e non può ritenersi escluso dallo stato di detenzione, pur protratto nel tempo, di uno dei componenti del nucleo familiare, il quale, pertanto, anche in una siffatta ipotesi, non può omettere di indicare, nell'istanza di ammissione, il reddito dei familiari conviventi (cfr. Cass. Pen. 15715/2015, Cass. Pen. 17374/2006)”.

Un chiaro richiamo viene fatto ai giudici ricordando loro che “nell'interpretare la citata disposizione normativa questa Corte ha statuito che il termine "può", in essa contenuto, va inteso non già come espressione di mera discrezionalità, bensì come potere-dovere del giudice di decidere "causa cognita", senza limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull'onere della prova (cfr. Cass. n. 23710/2022, Cass. n. 23133/2021, Cass. n. 2206/2020, Cass. n. 4194/2017).”

Il provvedimento di pre-ammissione al patrocinio a spese dello Stato da parte dell’ordine degli avvocati deve essere confermato dal giudice, a cui compete verificare la veridicità e completezza delle dichiarazioni del richiedente, azionando gli accertamenti di propria competenza, soprattutto quando non sono plausibili i redditi dichiarati e quando controparte fa presente l’esistenza di lavoro non dichiarato, sia da parte dei componenti della famiglia, nessuno escluso, che dal diretto interessato.

Tutto ciò, purtroppo, non avviene e molti richiedenti che, di fatto, non ne avrebbero diritto, continuano ad essere “previlegiati” e ad abusare del beneficio, che deve andare solo a chi ne ha diritto, come ribadiscono i giudici della Suprema Corte in questa sentenza. Non effettuare le indagini vuol dire permettere una giustizia ingiusta, che danneggia non solo la controparte, ma tutti gli onesti cittadini che pagano le tasse sul lavoro svolto. C’è da chiedersi quali siano le ragioni per cui l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza ignorino la dissipazione del danaro pubblico, sapendo che l’evasione fiscale ormai è una prassi tollerata e abusata, e facciano i controlli di propria competenza solo in prossimità della scadenza del termine di prescrizione per effettuare i citati controlli.
Oltre al danno erariale, permettere l’accesso al gratuito patrocinio ai furbetti (la quasi totalità dei beneficiari, nelle separazioni e nell’affido dei figli, sono le donne) vuol dire che solo gli onesti (meglio sarebbe parlare di fessi) pagano le spese legali, perché, a differenza delle loro partner, dichiarano i redditi percepiti. Tutti sappiamo che il lavoro femminile si presta all’evasione fiscale e, spesso, sono proprio le lavoratrici a non voler essere assunte per non perdere il gratuito patrocinio, per avere un più consistente assegno di mantenimento per sé e per i figli, per avere un assegno unico universale più ricco e i vari contributi e benefici dagli enti locali e dagli enti privati e, negli ultimi anni, per accedere al reddito di cittadinanza.

Il patrocinio gratuito, nei conflitti familiari, permette a chi ne beneficia di denunciare il partner in continuazione, soprattutto per futili motivi e, purtroppo, assai spesso, su reati interamente inventati (talvolta confermati da compiacenti testimoni). Il denunciato – che non usufruisce del gratuito patrocinio – molte volte non è in grado nemmeno di potersi difendere perché non può pagare il legale.

A questo nessuno pensa e i giudici non vogliono indagare e sanzionare per le denunce false e per le false testimonianze. Buonismo? Solo sudditanza culturale e psicologica alle intransigenze dei centri femminili e dei centri antiviolenza, che si appropriamo di competenze che vanno ben oltre la dovuta tutela di chi, realmente, subisce la violenza in famiglia.

Il patrocinio gratuito, quando non spettante, oltre ad essere una beffa allo Stato, è la causa di tanta conflittualità ad esclusivo danno dei figli. Non difendere i diritti dei figli e propri vuol dire rinunciare al dovere-diritto genitoriale. Una rinuncia a cui non sono estranei i servizi sociali (che ben conoscono la situazione economica del singolo genitore, ma non parlano nelle loro relazioni) e i tribunali, impegnati a stilare “protocolli” per vivere tranquilli e senza troppi fascicoli da leggere!

Occorre chiarezza, però, vista la latitanza di chi sa ma tace, vista l’indifferenza della politica, non resta, ai genitori vessati, che rimboccarsi le maniche e farsi sentire dalle istituzioni e da chi gestisce il destino dei loro figli.

 


Ubaldo Valentini, pres. Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps)
Contatti: tel. 347.6504095, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., www.genitoriseparati.it. - 5x1000: C.F. 94077010547

 

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