Le componenti del Progetto Civico Progressista chiedono «una precisa presa di posizione da parte di ogni singola istituzione»
«La lotta delle donne Afghane è la nostra lotta, il loro dolore rinnovato dopo un'illusione di libertà è il nostro dolore». È quanto riporta una nota firmata dalle donne del Pcp a proposito della situazione in Afghanistan dopo il repentino ritorno al governo dei talebani.
Le donne del Progetto Civico Progressista ricordano la Dichiarazione 48/104 del 1993 dell'assemblea delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne in base alla quale «Gli Stati dovrebbero condannare la violenza contro le donne e non dovrebbero appellarsi ad alcuna consuetudine, tradizione o considerazione religiosa al fine di non ottemperare alle loro obbligazioni quanto alla sua eliminazione. Gli Stati dovrebbero perseguire con tutti i mezzi appropriati e senza indugio una politica di eliminazione della violenza contro le donne». Secondo le donne del Pcp «questo è il momento di dimostrarlo».
«Immaginate - prosegue il comunicato - che improvvisamente il governo del vostro paese decida che le donne non possono più votare, uscire da sole, lavorare, studiare, truccarsi, guidare, avere cure mediche e che chi non obbedisce sia punito con pene corporali fino alla morte. Cosa fareste? Accettereste supinamente le nuove regole? Rinuncereste ai diritti e alle libertà faticosamente conquistate? Lottereste oppure fuggireste?». Una regressione nel campo dei diritti conquistati «succede e succederà ancora: è successo in Iran, dove la libertà delle donne è stata cancellata dopo la presa del potere degli Ayatollah; succede ogni giorno in Italia, dove diritti sanciti dalla legge restano inapplicati e sta succedendo in Afghanistan».
Europa politicamente debole
Secondo le donne del Pcp è necessario «prendere coscienza del fatto che - mentre gli Usa dichiarano candidamente di essere intervenuti nella situazione afghana a mera tutela dei loro interessi e paesi come Russia e Cina sono già in via di trattative con il regime Talebano - l’Europa, ancora in fase di costruzione di una politica estera comune, risulta troppo debole ed ininfluente. I corridoi umanitari possono certamente costituire una via di fuga immediata per chi rischia la vita, ma non possono essere l'unica soluzione: occorre una politica attiva e permanente».
In questo contesto è necessaria «una precisa presa di posizione da parte di ogni singola istituzione, movimento e persona, che sostenga le associazioni, le ong e tutti coloro che stanno operando in Afghanistan in questo momento e che solleciti la messa in campo immediata di tutte le risorse possibili, che le parole "non siete sole" diventino una realtà e cessino di essere uno slogan», conclude il comunicato.
C.R.