Da Lenzuolo a Geenna: 20 anni di indagini sulla 'ndrangheta in Valle d'Aosta

Cesare NeroniAOSTA. Credere all'esistenza della mafia è difficile, come credere all'esistenza del Demonio, di Satana. Sono superstizioni, cose date dall'ignoranza e da una sub cultura che affonda le sue radici nel mondo arcaico, agricolo che ha bisogno di pericoli.

La mafia, (con la m minuscola perché non merita quella maiuscola) come Satana, ha vinto perché ha fatto credere a tutti che loro non esistono e il solo pronunciare il loro nome fa paura.

Nel rinvio a giudizio del maxi processo di Palermo, quello che ha sancito giudiziariamente l'esistenza di "cosa nostra" quale associazione mafiosa, è raccontato l'aneddoto di un mafioso che chiedeva al maresciallo dei Carabinieri il perché si ostinassero a parlare di mafia perché: «la mafia non esiste». Il Maresciallo rispose: «Può essere che non esista ma ogni domenica vedo i mafiosi che passeggiano per la piazza del paese».

«Qui la mafia non esiste, la Valle d'Aosta è un'isola felice, vedi non ci sono reati, non ci sono delitti, che ca…dici sei tu che sei un razzista e ce l'hai con i calabresi» Era il 1998 e queste erano le battute che mi sentivo dire mentre con i miei colleghi del Nucleo Investigativo, diretti da un grande Ufficiale, stavamo conducendo una difficile indagine che chiamammo "Lenzuolo".

La chiamammo così perché avevamo assistito (non invitati) a un rito nel quale era presente un lenzuolo appunto.

L'inchiesta, coordinata dalla D.D.A. di Reggio Calabria, fu inviata per competenza a quella di Torino e qui archiviata (sarebbe lungo e noioso spiegare i motivi).
In un manuale degli anarchici insurrezionalisti dal titolo: "Ad ognuno il suo mille modi per distruggere il mondo" (edizione N.N. non credo si trovi su Amazon) riguardo gli sbirri, l'anonimo autore scriveva: «Lo sbirro, quello vero, ha tempo, pazienza. Raccoglie dati anche per anni…» Evidentemente l'anarchico conosceva bene gli sbirri, quelli veri, perché è quello che abbiamo fatto. Sottolineo abbiamo perché, con me, ci sono altre persone, poche è vero, che hanno creduto, hanno avuto pazienza, hanno usato bene il tempo.

Il 2 ottobre 2010, un personaggio abbandonava una tanica di benzina con un accendino davanti alla porta dell'Edilsud per motivi estorsivi. Qualche giorno dopo l'incendio di una motopala dell'impresa Archeos. Ecco il grimaldello che attendavamo da anni, il passo falso per comprendere le dinamiche e quindi dare l'avvio a una nuova attività di indagine. L'operazione "Tempus Venit" a seguito della quale erano condannati esponenti della cosca della ‘ndrangheta Facchineri che pretendevano una percentuale su appalti milionari perché «loro hanno un codice e gli spetta» come se la Valle d'Aosta fosse un loro feudo.

Un'indagine, soprattutto quando dura anni, comporta la raccolta di informazioni, le quali sono analizzate, catalogate ed è questo il lavoro nascosto dell'investigatore che nessuno conosce perché poco teatrale ma sicuramente molto importante. L'autorità giudiziaria ha condannato gli autori dell'estorsione ma non spetta a lei l'analisi dei fatti, se non per la ricerca di indizi che dopo il processo si trasformano in prove. La condanna é in base alla verità processuale che non sempre rispecchia in pieno quella reale.

Comunque, informazioni e dati si univano a quelli del 1998 e anche prima. Fatti, analisi, informazioni che, condivise con le altre forze di polizia, hanno permesso l'applicazione di cinque provvedimenti contro imprese sospettate di essere infiltrate dal potere mafioso. Così io con altri colleghi abbiamo raccolto in una informativa il nostro lavoro di anni e chiesto alla D.D.A. la possibilità di indagare. Io nel novembre 2016 ho lasciato l'Arma, ma il mio Nucleo ha continuato fino ad arrivare oggi al risultato insieme al ROS di Torino.

Potrebbe essere una storia a lieto fine (dipende da quale lato si guarda) però non è così. Si potevano raggiungere altri risultati se in altre occasioni ci avessero dato retta, ci avessero dato la possibilità di indagare, approfondire. Invece tutto era stato dimenticato, perché: «ma no non è così non esageriamo…figurati qui la mafia non esiste…siete voi che farneticate….guarda quante c...ate scrivono, fate le cose serie…ecc…»

E la politica? La politica sembrava essere Alice, della canzone di De Gregori che viveva nel suo mondo: «mentre tutto questo accade Alice non lo sa». Adesso lo sa, perché anche se è vero che le persone arrestate ai sensi dell'art 27 comma 2 della Costituzione Italiana (queste si con la C e la I maiuscole) hanno la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva, rimane il fatto che non si può più dire che la ‘ndrangheta in Valle non esiste. Anche se la verità processuale non fornirà le prove, rimangono i discorsi, gli atteggiamenti, i silenzi dell'esistenza della mafia in Valle d'Aosta.

Politici locali furono avvicinati da esponenti della cosca mafiosa con la promessa di un appoggio elettorale. Chi ha accettato ha commesso il reato di voto di scambio ed invece chi ha rifiutato e non ha denunciato non ha certo aiutato a sconfiggere il cancro della criminalità organizzata.

Un vecchio maresciallo un giorno mi disse: «Ricorda: chi sa e non parla è connivente».

In ultimo una parola sul nome dell'operazione “Geenna”. Nell'antica Gerusalemme esisteva una fossa dove erano bruciati i rifiuti e le carogne degli animali, per questo c'era un fuoco perenne. Fu preso come esempio da Gesù per descrivere l'inferno ovvero l'immondezzaio dei peccatori che non si pentiranno. In origine tale fossa era utilizzata dal popolo che aveva fondato Gerusalemme, per sacrifici umani a favore di una loro divinità. Gli ebrei trasformarono tale luogo, sacro per gli uni, quale immondezzaio per sfregio e bisogno. Così per la ‘ndrangheta, "società" sacra e inviolabile per pochi, immondizia sociale per gli inquirenti e la maggioranza di calabresi che con la ‘ndrangheta non hanno da spartire.

 

Cesare Neroni




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