Una pillola di tranquillante per l'opinione pubblica della Valle d'Aosta

La gara a minimizzare le accuse nel processo per 'ndrangheta

 

Legge è uguale per tuttiAOSTA. « Non so nulla della ‘ndrangheta…» E' una parte delle dichiarazioni rese in tribunale da Tonino Raso, una delle persone arrestate nell'ambito dell'indagine Geenna sulla 'ndrangheta in Valle d'Aosta. È un mantra già sentito in altri processi per mafia. Boss patentati, negavano la loro conoscenza ed esistenza delle mafie. Qualcuno aggiungeva che della ‘ndrangheta aveva notizie perché lette sui libri di Gratteri. Fa piacere che abbiano letto almeno un libro.

È iniziato il processo con i suoi riti stabiliti dalla legge che sono di difficile comprensione per i non addetti. Di più facile comprensione sono le rassicuranti battute riferite da alcune difese che annunciano scontate assoluzioni perché l'intero processo si basa su un gigantesco errore, sull'enfasi, da parte della Magistratura e dei Carabinieri, di comportamenti di poco conto. È vero, ci sono stati eventi futili, che in un determinato contesto sono stati considerati gravi fatti d'onore tanto da dover essere risolti con riti previsti dal galateo ‘ndranghetistico per evitare gravi conseguenze.

Per dirla con la frase di un indagato: «per uno schiaffo sono stati ammazzati dei cristiani». Anche qui c'è da discutere. Il termine “cristiano” oltre che avere una connotazione di appartenenza a un credo religioso, nel linguaggio comune è utilizzato per indicare in genere le persone. Nel linguaggio 'ndranghetistico s'indicano gli appartenenti alla ‘ndrangheta, cristiani perché battezzati ‘ndranghetisti; che questo termine è usato dalla ‘ndrangheta è stato sancito dalla Corte di Cassazione in una sua sentenza. Alcuni dei difensori hanno sottolineato che in passato ci sono già stati procedimenti penali, ma nessuno di questi è terminato con una sentenza in giudicato quindi delle “bolle di sapone”, inconsistenti, illusioni di esagerati inquirenti. Questo ha il sapore di una pillola di tranquillante per l'opinione pubblica della Valle d'Aosta che deve rimanere un'isola felice (che sia un'isola è sicuro, mentre sul felice possiamo parlarne).

I Carabinieri e la D.D.A. hanno esagerato, hanno interpretato con malignità comportamenti innocenti, anzi comportamenti generosi verso una comunità coesa che ha le sue tradizioni, i suoi modi di fare. Infatti Tonino Raso non capisce quali sono i suoi errori: nel suo locale venivano tutti, comprese le Forze dell'Ordine. Che sia un “chi ha orecchi per intendere intenda?” Quel “venivano tutti” cosa vuol dire? E' un messaggio subliminale? «Risposta non c'è o forse chi lo sa, caduta nel vento sarà» così cantava il grande e antipatico Bob.

La forza elettorale degli immigrati calabresi in Valle d'Aosta è nota da tempo. Su una popolazione di 120.000 abitanti circa, 35.000 provengono o sono figli di immigrati calabresi. Nell'indagine “Lenzuolo” (una delle tante bolle di sapone) fu lo stesso Santo Pansera a spiegare a un suo pari che in Valle d'Aosta erano un buon numero e che quindi potevano dire la loro politicamente. Dopo il fallimento del M.I.V. (Movimento Immigrati Valdostani) avrebbero scalato l'U.V. per poter anche loro godere dei miliardi che piovevano sulle montagne valdostane. Congetture, stupidaggini, pettegolezzi, discorsi da bar. Sta di fatto che la scalata all'U.V. è un fatto reale.

Quello che emerge dalle pagine dell'inchiesta pubblicate è il sospetto che i politici valdostani, ultimamente coinvolti, si dichiarano assolutamente estranei a un certo modo di pensare e comportarsi, si sono rivolti alla Raso & C., che, ammesso e non concesso l'essere mafioso, era sicuramente un'ottima “agenzia elettorale”. Raso intendeva trasformare il suo ristorante pizzeria in un grande polo socio politico ove lui era il deus ex machina. In fondo Tonino non aveva tutti i torti, perché come riportato dai giornali lui ha sottolineato che: «Tutti venivano nella mia pizzeria». Ha ragione: i Carabinieri hanno documentato la frequentazione di persone, anche di rilievo, nella sua pizzeria. Fulvio Centoz scrive su Facebook che lui “ha girato i tacchi e se ne andato”. E' indubbio che la Raso & C. era conosciuta come un'ottima “agenzia elettorale” e quindi utile per cercare voti (e fin qui non c'è nulla di male, un candidato se vuole sedere sugli scranni di un consiglio pubblico deve cercare persone che lo votano, farsi conoscere, cercare consenso).

La battuta del sindaco appare come un segno di consapevolezza: aveva compreso che aria tirava in quel locale (inteso come attività commerciale). A questo punto io, normale cittadino, mi pongo una domanda: possibile che gli altri non se ne siano accorti? Non so se gli inquirenti abbiano fatto questa domanda a Fulvio Centoz e, in caso affermativo, se la risposta debba restare riservata fino al termine del processo. È una questione interessante da approfondire.

Tornando al processo, ai giudici non importa l'aspetto sociale del problema, loro saranno chiamati a giudicare la sussistenza o meno di un'associazione per delinquere di tipo mafioso, ovvero l'esistenza di un gruppo di persone che si sono “associate”, quindi hanno creato un'organizzazione dove ognuno aveva assegnato un compito, per commettere una serie indefinita di reati. Quest'organizzazione per essere di tipo mafioso deve avere delle caratteristiche previste dall'art 416bis del Codice penale: «...L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. Ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali».

Una volta accertato l'esistenza di un simile mostro, si dovrà giudicare la sussistenza del concorso esterno all'associazione mafiosa di alcuni politici. Ovvero persone che non facevano parte dell'associazione criminale ma che, come spiega la Corte di Cassazione, con la loro condotta: «…forniva un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere occasionale o continuativo, dotato di effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell'associazione. »

Su questo è chiamata giudicare la Magistratura giudicante. Tutto il resto spetterà alla società e alla storia.

 

 

 

Cesare Neroni

 

 

 

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