Suicidio il male oscuro della Valle d'Aosta

«Il suicidio si può prevenire, più che predire»

 

Suicidio: il male oscuro della Valle d'Aosta

«Il suicidio si può prevenire, più che predire». Lo afferma Rihmer Zoltán, grandissimo insegnante dell’Università Semmelweis di Budapest che ha dedicato gran parte dei suoi studi al suicidio. L’ideazione suicidaria è un fenomeno fluttuante, che varia di ora in ora, di giorno in giorno e che non procede in maniera lineare verso il punto d’arrivo. Con essa il suicidio stesso è riconosciuto come un fenomeno multifattoriale nel quale non esistono ruoli esclusivi, ma molti fattori che contribuiscono alla messa in atto. Tra questi i traumi infantili, l’aver vissuto eventi particolarmente stressanti, come la perdita di una persona cara o del proprio lavoro, un’eccessiva mentalizzazione, la disperazione nata dal sentirsi senza speranza, ma anche la presenza di un suicidio nella propria storia familiare. E nonostante tutta la complessità del fenomeno i più grandi esperti sulla scena internazionale continuano a evidenziare: «si ha tempo».

Si ha tempo quando i campanelli d’allarme vengono presi seriamente, prima tra tutte la comunicazione inerente la morte. Si ha tempo quando non si sottovalutano segnali come un’alterata abitudine del sonno, cambiamenti repentini dell’umore, una sensazione di trappola, un abuso di sostanze, un forte dolore mentale o l’aver già provato a mettere fine alla propria vita. La ricerca suggerisce proprio un passaggio dalla considerazione del suicidio come sintomo di un disturbo psichiatrico al riconoscimento di una vera e propria condizione suicidaria, dunque anche di una fenomenologia suicidaria che può portare, o meno, all’ingresso della crisi suicidaria. Un passaggio che apre fortemente le porte al lavoro di prevenzione. «L’alfabetizzazione della prevenzione del suicidio è giovane e sta iniziando», dichiara Maurizio Pompili, professore ordinario di Psichiatria alla Sapienza di Roma, nel 2019 riconosciuto al primo posto al mondo tra gli esperti di suicidio.

Una strada giovane dunque, ma da percorrere con grande serietà e fin da subito, soprattutto in un territorio come quello della Valle d’Aosta, che da anni detiene il triste primato della regione italiana con il più alto tasso di suicidi. «Nel 2019 abbiamo avuto quattordici suicidi in dodici mesi, nel 2020 sono stati undici e fino a oggi nel 2021 dieci», afferma Anna Maria Beoni, primaria dal 2016 di Psichiatria del Dipartimento di Salute Mentale dell'ospedale regionale Umberto Parini di Aosta. «Per noi sono dati enormi e importantissimi». Numeri che fanno riflettere e che mostrano un piccolo decrescendo nel 2020, l’anno del Covid. «Nel 2020 abbiamo registrato un aumento dei ricoveri per ideazione suicidaria e una diminuzione dei dati sui suicidi. Credo che l’isolamento abbia in qualche modo ridotto la messa in atto dell’agito, ma abbia aumentato il malessere e l’ideazione suicidaria», continua Beoni. D’altronde dal quadro delineato dalla primaria negli ultimi due anni è decisamente cambiata in generale la tipologia del ricovero rendendo sempre più frequente l’accesso di persone senza precedenti psichiatrici e senza alcuna storia di malattia. Rivela Beoni: «Ci siamo trovati di fronte a situazioni davvero nuove da gestire, come quelle della conflittualità familiari, accentuate probabilmente dalla convivenza forzata».

Una situazione che porta nuovamente in prima fila lo stato di malessere della popolazione regionale e che richiama l’urgenza di una effettiva prevenzione del suicido.

«Il suicidio è un fenomeno sociale, non una malattia», sottolinea Beoni. «Può essere collegato a una malattia psichiatrica ma può essere collegato anche a molto altro. I nostri dati dicono che tra le persone che scelgono di mettere fine alla propria vita, sette su dieci non avevano mai avuto accesso ai nostri servizi. La prevenzione è quindi un argomento molto difficile: dobbiamo lavorare su molti campi. A partire dai giovani nelle scuole, tenendoli in un certo senso lontani dalla psichiatria, per poi lavorare sugli anziani e quindi sugli aspetti di solitudine e isolamento che sono così frequenti sul nostro territorio. La prevenzione si può fare e si deve fare, anche se poi non è detto che funzioni».

Il quesito che però emerge è questo: perché sette persone su dieci non sono arrivate ad accedere ai servizi psichiatrici e di sostegno pubblici? Un quesito che rimane aperto e che porta a riflettere sulla scarsa apertura dei presidi psichiatrici territoriali, una volta al mese per una giornata a Donnas, Verres, Châtillon e Morgex. Sono poche ore, anche se a queste si aggiunge il servizio di telepsichiatria già partito a Verres e Châtillon e che la dottoressa Beoni conferma sarà potenziato. Sono poche ore che non fanno altro che aumentare la rabbia e l’impotenza di famiglie che vivono già situazioni difficoltose. Sono poche soprattutto in una valle che non consente a tutti e con facilità di raggiungere Aosta.
Beoni però rassicura: «Entro fine anno arriverà una nuova dottoressa che ha già vinto il concorso. Il suo lavoro in reparto consentirà a me di potenziare ulteriormente i presidi territoriali».

Una distribuzione territoriale importante per l’intervento, che in parte Beoni dichiara essere già attiva nei casi di tentato suicidio. «In questi casi proponiamo una presa in carico che comporta una periodicità di visita e, laddove ci sono problemi di solitudine, un’attività territoriale con infermieri ed educatori che fanno un monitoraggio anche a domicilio del paziente. Si conosce così il suo contesto sociale, le sue abitudini e il suo luogo di vita. Per noi il problema nasce quando arrivano quei pazienti con un tentato suicidio e nessun tipo di precedente psichiatrico che non vogliono essere seguiti».

Prende tempo invece l’Assessore alla Sanità, Salute e Politiche sociali Roberto Alessandro Barmasse: «Il fenomeno è di rilevanza nella nostra regione e c’è la volontà di perseguire un percorso in grado di poterlo affrontare in maniera sistematica. A seguito di uno studio commissionato, stiamo proseguendo nella progettazione di una campagna in grado di dare corso a un impegno costante sul territorio così da affrontare il problema seguendo la via della prevenzione. Il progetto è nella fase di confronto e per tale motivo, a breve, tramite i referenti dei vari servizi socio-sanitari dell’Assessorato, effettueremo una serie di incontri in modo da concertare la proposta con tutti i soggetti interessati, dall’USL alle varie associazioni. La volontà è, quindi, quella di arrivare al più presto a una progettazione in grado di affrontare la tematica ben sapendo quanto siano utili le strategie preventive».

Una progettazione che continueremo a seguire perché quella dell’aiuto esterno è l’unica strada percorribile, soprattutto in prima istanza. Il grande pensatore Thomas Macho che nel 2021 per Meltemi ha pubblicato “A chi appartiene la mia vita? Il suicidio nella modernità”, interpreta il suicidio come l’omicidio di una parte di sé nei confronti di un’altra. E quindi il suicida uccide e viene ucciso in una duplicazione fondamentale dell’io che da soli è davvero difficile da riconoscere e superare.



Veronica Pederzolli

 

 

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