Niente sicurezza, vendite ridotte, esclusione dagli aiuti: perché i benzinai alzano la voce

Cosa c'è dietro alla minaccia di chiudere le stazioni di rifornimento

 

BenzinaioIn questo momento di grande confusione sulla esatta interpretazione della decretazione governativa si palesa in modo sempre più evidente il disagio di alcune categorie produttive quali ad esempio le Stazioni di rifornimento carburante.

Le motivazioni della protesta dei sindacati di categoria che hanno annunciato la chiusura dal 25 marzo a partire dalle autostrade sono principalmente di carattere sanitario in quanto nessuna compagnia ha pensato di rifornire i gestori con adeguati presidi sanitari (mascherine, guanti monouso, disinfettanti) lasciando ai titolari degli impianti l'onere (anche economico) di provvedere a loro stessi ed ai collaboratori sul piazzale.

Anche la posizione della Compagnia di bandiera (ENI) è perlomeno discutibile in quanto ha proposto il rimborso a presentazione della fattura di acquisto di detti presidi ma, come noto a tutti, non si trovano in commercio le famose mascherine FFP2 e FFP3 se mai eventualmente recuperate per vie alternative e certamente non dichiarate e quindi non rimborsabili. 

Inoltre è di assoluta evidenza che la chiusura di Uffici fabbriche studi professionali e quant'altro ha ridotto ad un misero 20% il volume delle vendite su piazzale per cui immaginare che un gestore possa pagare con una dilazione massima di 4 giorni la merce acquistata è quanto meno ipotetico.

In condizioni normali, con lo scarico di ATB volumetriche di almeno 30.000 litri di carburante, si utilizzavano i rifornimenti successivi (mediamente due per settimana) per pagare i precedenti ma, con il fermo pressoché totale, questa possibilità viene esclusa creando serie difficoltà economiche al gestore che paga nel prezzo pattuito (meglio dire imposto dalla compagnia) anche la quota accisa ed Iva che sommate insieme rappresentano circa il 70% del prezzo di commercializzazione del prodotto. 

Al tavolo del confronto solo ENI si è presentata e da qui la necessità di fare la voce grossa da parte dei sindacati e di ricordare che nel decreto a sostegno delle partite IVA sono previsti interventi solo per quelle aziende che non superano i 2 milioni di euro di fatturato. Un impianto di distribuzione carburanti quella cifre la raggiunge, nei casi più contenuti, in 7/8 mesi.

Evidentemente i gestori di impianti distribuzione carburanti sono tutti esclusi.

Anche poi sulla chiarezza nell'applicazione del decreto di limitazione delle attività vi sono incongruenze. Infatti le attività autorizzate all'apertura sono dotate di un codice che viene loro trasmesso dall'agenzia delle entrate. Per i gestori viene invocata l'appartenenza alla filiera di supporto ai trasporti, ma non viene consegnato alcun codice. Così succede, come è già successo, che qualche finanziere solerte oltre misura applichi una sanzione all'impianto aperto senza codice salvo poi, quando sarà, andare a discuterne in Commissione tributaria con spese ed accessori al seguito.

Questa è l'Italia ai tempi del Coronavirus? Non sembra molto diversa da quella confusionaria e pasticciona dei tempi normali. 

Ma alla fine ci sarà un precetto risolutore che obbligherà le aperture contingentate facendo passare questa categoria di imprenditori per irresponsabili fautori del caos. Il rispetto ed un minore egoismo economico suggerirebbe alle compagnie una flessibilità diversa in nome di quanto in passato hanno lucrato su questa categoria di onesti lavoratori. 

 

Fabrizio Camilli

 

 

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