Riceviamo e pubblichiamo
Vorrei, se possibile, esprimere il mio punto di vista di 40 enne, rispetto a questa ennesima tragedia, che inquadrare come valdostana è, a mio avviso, un tantino riduttivo. Al suicidio ricorrono in tanti, purtroppo, tanti giovani è vero, ma in tante regioni d'Italia, ognuna con le sue realtà, belle o brutte. Non è solo una piaga valdostana o circoscritta alle nostre quattro mura. E' una piaga del nostro tempo. Tuttavia il fatto è, che essendo una regione molto piccola, in Valle d'Aosta le notizie sono ridotte al lumicino, ci si conosce più o meno tutti e questi episodi di cronaca trovano più facilmente spazio sui giornali. Anche se si tende a non parlarne. A insabbiare tante notizie. Forse per non fare cattiva pubblicità a una regione considerata "virtuosa" e "felice". Ma qui non si vive meglio o peggio di altri posti. Quello che è vero però, purtroppo, è che spesso ci si sente tagliati fuori dalla società locale, che come tutte le piccole comunità, si nutre di realtà e di gente di nicchia. E' vero, forse la Valle d'Aosta è isolata dal "resto del mondo", è chiusa in se stessa, anche a livello logistico, ahimé, ma dubito fortemente che si viva peggio di tante altre realtà che sono spesso degradate e lasciate a se stesse. Penso a periferie di grandi città come Torino o Milano, ecc... Eppure si muore anche lì. Ma non c'è spazio per queste notizie.
E allora qual è il problema? Il problema è la vita. Questa vita, in generale. O come viene percepita da chi non è più giovane, ma lo è appena stato ed è tagliato fuori dalle nuove generazioni e da chi non è così vecchio, ma presto lo sarà ed è tagliato ugualmente fuori dalle vecchie generazioni. Il problema grosso a mio avviso però è questa società, fatta di svago, divertimenti, moda, soldi, macchine. Basta guardarsi in giro. Happy hour, calcio, moda, donne (solo belle), macchine, divertimento. E dall'altra parte invece tragedie immani, malattie, guerre, carestie, attentati, malcostume, cattiveria, malaffare, crudeltà, crisi economica. Incertezza. Dipende da che punto si guarda il mondo. Non c'è una via di mezzo. Se sei triste, arrabbiato, crucciato, preoccupato, amareggiato, ma forse perché più sensibile a ciò che avviene nel mondo (e non solo sulla bacheca social dell'ultimo venerdì sera di turno) sei tagliato fuori: devi essere prestante, social, sempre sul pezzo e questo essere sempre costantemente al passo con i tempi, spesso non lascia via di fuga. Si rimane indietro. Ci si chiude in se stessi. O ci si affida a quelli come te. Che però hanno la loro vita, i loro problemi e a volte non riescono a darti il supporto che chiedi. O che vorresti. E non sempre si ha voglia di seguire la massa, fingere di essere quello che non si è, indossare una maschera, fare finta di niente e mettere da parte il proprio modo di essere solo per qualche "like" in più sulla pagina social o solo per essere accettati.
Non pretendo che questa sia la spiegazione a un qualcosa che una spiegazione in realtà non ce l'ha. Nessuno ha la risposta. Neanche gli psicologi, chiusi troppo spesso nel loro mondo inaccessibile e incomprensibile a molti. A volte è più facile anche solo pensare che "quella lì", la morte, è il solo modo per uscirne, per far tacere i pensieri, i tanti pensieri, anche superflui, che tutti i giorni ti appesantiscono la testa. Che non ti danno tregua.
Poi ovviamente è un attimo... Un respiro. E indietro non si torna... anche se, chissà... forse non doveva poi finire così...
lettera firmata