La strage delle Foibe: da vittime a carnefici

Il Giorno del ricordo come impegno di civiltà perché la storia non si ripeta


foibe

Marzo 1943. Iniziano le prime ondate di violenze a seguito dello sfaldamento delle forze armate italiane: Trieste, Pola e Fiuse sono occupate dai tedeschi, l’Istria è annessa alla Croazia e cominciano gli arresti. Sono i partigiani dei comitati popolari di Tito a pronunciare le condanne di morte verso quelli che fonti croate chiamano come nemici del popolo: non solo i fascisti che avevano imposto la forzata italianizzazione di queste terre, ma anche tutti coloro che non stavano abbracciando la nuova causa, quella della liberazione. 

Nel 1943 iniziarono le prime sparizioni di persone di qualsiasi rango sociale e, con loro, gli eccidi nelle Foibe. In queste profonde cavità carsiche tipiche del territorio istriano venivano gettate persone vive. Le mani legate con un fil di ferro a cui era appesa una grossa pietra evitavano la sopravvivenza: nelle foibe chiunque venisse gettato doveva annegare.

Ma il più alto numero di vittime si ebbe nel 1945. Con il crollo del Terzo Reich nessuno riuscì più tenere a bada i partigiani jugoslavi: nella primavera di quell’anno l’armata jugoslava guidata da Petar Drapšin occupò l’Istria e cominciò a marciare verso Trieste per riappropriarsi dei territori che erano stati loro fino alla fine della prima Guerra Mondiale. In Istria le esecuzioni contro gli italiani furono ferocissime e l’ira degli uomini di Tito scatenò una saga di sangue quando capirono di non poter avere Trieste. 

C’è chi dice che tutto questo si concluse con il trattato di pace di Parigi, siglato il 10 febbraio 1947. È la data in cui oggi celebriamo, dal 2005, la Giornata del ricordo in memoria dei più di ventimila italiani torturati e assassinati dalle milizie di Tito. Ma fu proprio quel trattato ad autorizzare la Jugoslavia alla confisca di tutti i beni dei cittadini italiani residenti nelle città che l’Italia dovette cedere alla Jugoslavia: Zara, Fiume, la Dalmazia, l’Istria e parte della provincia di Gorizia. 

Ovviamente nessun cittadino fu mai rimborsato di questa confisca, nonostante le promesse, e 250mila italiani dovettero abbandonare le ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia alla ricerca di una nuova patria.

 

Il Giorno del ricordo è infatti oggi ancora molto dibattuto e non celebrato da tutti, come invece avviene con il Giorno della memoria. Ma, al di là delle credenze e delle posizioni politiche, questo spaccato storico, la memoria di queste vicende e delle sue vittime, ricorda la facilità dell’uomo nel passare dall’essere vittima a carnefice e stimola a educare perché la storia non si ripeta, come ha sottolineato oggi lo stesso Mattarella: «È un impegno di civiltà conservare e rinnovare la rievocazione della tragedia degli istriani, dei fiumani, dei dalmati e degli altri italiani che avevano radici in quelle terre. […]  La sciagurata guerra voluta dal fascismo e l’occupazione nazista furono seguite, per questi italiani, da ostilità, repressione, terrore, esecuzioni sommarie aggravando l’orribile succedersi di crimini contro l’umanità di cui è testimone il Novecento».


 

Veronica Pederzolli

 

 

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