Nei film la vita di tutti i giorni

Il ritratto di Alessandra Celesia, valdostana che vive a Parigi

 

Come il Bianco

Una ritrattista di fragilità. Alessandra Celesia è valdostana ma vive a Parigi, dove ha frequentato le scuole di teatro di Philippe Gaulier e Jacques Lecoq. Dopo anni di teatro incontra il cinema e da subito si distingue per la sensibilità dello sguardo registico, profondo, toccante e impegnato. Ciò che tiene accesa la sua passione e la sua ispirazione è la vita stessa, negli incontri di tutti i giorni che filtra ed elabora fino a trasportarli su pellicola. Il suo ultimo cortometraggio Come il bianco, la cui anteprima italiana è stata data proprio ad Aosta il 12 novembre, ha ottenuto la nomination come miglior cortometraggio documentario al César, sostanzialmente gli Oscar francesi, ed ha ottenuto la menzione speciale della giuria giovani per il miglior cortometraggio al Frontdoc di Aosta.

Alessandra, come è nata la sua passione per il cinema?
In realtà è stato un po’ un caso. Per dieci anni ho fatto solo teatro e nell’estate in cui ero incinta della prima figlia non sono potuta partire per una tournée. Così con degli amici abbiamo deciso di improvvisare e ridendo e scherzando abbiamo creato un film sugli orti comunali. Ho avuto poi molta fortuna perché ho incontrato colui che è diventato il mio produttore ed è nato tutto da lì, da Orti.

E oggi dopo numerosi anni all’estero rimangono un po’ delle sue radici valdostane nella sua visione artistica?
In questo ultimo periodo devo dire tantissimo, come se la montagna mi avesse ripescata. Ho fatto due lavori che sono tra il teatro e il cinema, sono spettacoli quasi documentari. Heidi Project e Licheni sono infatti legati moltissimo al tema della montagna.

Quali ritieni siano i suoi punti di riferimento cinematografici?
Sono molto appassionata di Krzysztof Kieślowski, un regista polacco che mi ha aperto gli occhi appena arrivata a Parigi. Era appena uscita la sua trilogia Bleu, Blanc e Rouges e mi ha folgorata il suo modo di fare cinema, proprio tanto.

Ha appena ricevuto una menzione a Frontdoc per Come il bianco che tra l’altro aveva già ricevuto la nomination al César…
Si è una cosa incredibile. È tutto nato dall’incontro con una donna, Adriana, una nobile di Napoli che da giovanissima ha perso una figlia. Lei è una pittrice che dipinge vulcani e il suo approccio con l’arte è quello del desiderio di bellezza che può far sopravvivere a un lutto così grande. I vulcani per lei rappresentano la vita e la morte al contempo, il calore e la distruzione. Nel film c’è anche una ragazza, una cantante, che diventa specchio di questa figlia. Un personaggio che nasce da un incontro ulteriore: stavo semplicemente cercando qualcuno che potesse registrare un pezzo ma l’incontro con questa cantante mi ha fatto pensare che poteva esserci anche lei nel film. 

Le capita spesso di portare nei film persone di tutti i giorni?
Si, è quasi sempre stato così per me. Sono incontri che mi hanno folgorata e che nel tempo riesco a trasformare in film. Come per Il libraio di Belfast, un film per me molto importante, nato proprio dalla ricerca di un libro in una minuscola libreria nella città di mio marito. Il libraio mi aveva colpita al punto che per sette anni sono tornata a trovarlo, finché non sono riuscita a trovare i fondi per il film.

Un progetto futuro?
Sto finendo un film che racconta la storia del mio gatto che, caduto dall’ottavo piano e rimasto paralizzato, mi ha fatto incontrare un’associazione che lavorava sulla rigenerazione del midollo spinale. Qualche anno dopo averli incontrati sono partiti per la Cina per fare una prova sull’uomo e li ho seguiti. In più il chirurgo cinese mi aveva promesso l’operazione al mio gatto se avessi girato il film. È un lungometraggio sull’idea di rigenerazione, non solo del corpo ma anche dell’anima. Penso uscirà il prossimo anno.

 

Veronica Pederzolli

 

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