Valle d'Aosta, l'affido di un minore tra assistenti sociali e burocrazia

bambinoAOSTA. Quello che vi proponiamo è il racconto di Antonio, nome di fantasia di un padre valdostano che può vedere il figlio di 7 anni un'ora a settimana e solo in presenza di un educatore. Antonio è un papà single che per alcuni anni ha cresciuto il bambino quasi da solo fino a quando gli assistenti sociali, da lui contattati per avere consigli, decidono che non è un buon padre.

La storia di Antonio è simile a quella vissuta da tanti altri papà in Valle d'Aosta e racconta di come basti la burocrazia, condita magari da pregiudizi di genere, per sconvolgere la vita di genitori e figli. 

La storia di Antonio è inoltre il primo di una serie di articoli che Aostaoggi.it dedicherà al mondo degli assistenti sociali nella nostra regione.

 

Antonio, quanti anni aveva vostro figlio quando lei e la sua ex compagna vi siete separati?
«Aveva due anni».

Come vi siete accordati?
«Non avevamo preso accordo in realtà. Mio figlio abitava con me e lei viveva vicino a casa e vedeva il bambino tutti i giorni».

Non c'è stato bisogno quindi di andare da un giudice?
«No, non è servito».

Poi cosa è successo?
«Lei ha conosciuto il compagno attuale, una persona che non mi piaceva molto e su cui giravano voci in paese. A me non importava perché la vita è la sua, ma le ho chiesto di non coinvolgere il bambino nella loro relazione perché volevo che le cose con il compagno diventassero stabili prima di far entrare il bimbo nella loro vita».

Anche con l'arrivo di questo nuovo compagno il bambino viveva con te?
«Per quattro anni è sempre rimasto a casa mia, risiedeva con me sempre».

E dopo?
«Lei aveva trovato un nuovo impiego e si era trasferita ad Aosta ed ogni giorno, per tre o quattro mesi più o meno, veniva a casa mia a vedere il bambino per mezz'ora o un'ora alla fine del lavoro».

In quel periodo avete mai parlato del futuro del bambino?
«In quel periodo no. Io comunque volevo che finisse le scuole dove abitavo io perché già conosceva i compagni di classe».

A casa con lei c'era anche sua madre?
«Sì, mia madre, i miei parenti».

Quando la sua ex compagna ha cambiato idea sulla custodia del bambino?
«Quando abitava ad Aosta ha chiesto che il bambino prendesse la residenza da lei. Io invece volevo che finisse l'asilo e le scuole dove le aveva iniziate, per non portarlo lontano dai suoi amici. Così siamo arrivati a coinvolgere gli avvocati. Lei ha chiesto tramite il legale di far trasferire la residenza al bambino ed io sono andato ad informarmi dall'assistente sociale».

Gli assistenti sociali già erano a conoscenza della vostra situazione?
«No, loro non sapevano del nostro caso. Ho spiegato loro che il bambino stava da me, che la madre lo vedeva per un'ora o mezz'ora al giorno e che il bambino piangeva perché non voleva andare con lei».

Come sono intervenuti gli assistenti sociali?
«Hanno organizzato dei colloqui con lei e fatto intervenire uno psicologo. Hanno poi deciso che il bambino doveva integrarsi nella nuova famiglia, concedendo però che finisse almeno l'asilo prima del trasferimento. Il bambino però voleva stare con me. La madre dopo sei, nove mesi si era sposata e secondo me la relazione con il nuovo compagno non era ancora stabile e il bambino non doveva essere coinvolto».

Dal momento che la decisione non era condivisa dai genitori, il caso è arrivato nelle mani del giudice.

Cosa ha deciso il giudice?
«Il giudice ha stabilito che il bambino andasse dalla madre, facendogli comunque finire l'anno scolastico nella stessa scuola. Poi mio figlio si è trasferito dalla madre e dal marito. Nel giro di pochi anni hanno cambiato casa altre tre volte facendogli cambiare scuole durante l'anno scolastico».

Lei poteva vedere suo figlio?
«Dopo la prima udienza ad Aosta mi avevano dato due giorni infrasettimanali e nei week end. Poi io ho chiesto l'affido esclusivo ed è stato come darmi la zappa sui piedi. Mi fu negato perché nelle relazioni i servizi scrissero che io plagiavo mio figlio. Stilarono un calendario per le mie visite. C'era molto conflitto e io non accettavo che il bambino andasse a vivere in casa con la madre e il nuovo compagno dopo così pochi mesi di relazione».

Il bambino cosa diceva?
«Lui fin dall'inizio voleva sempre stare da me. Piangeva davanti all'educatrice e diceva che voleva stare a casa del papà, che non voleva andare dalla mamma. Dalle relazioni questo piangere veniva descritto come se il bambino recitasse una poesia».

Adesso qual è la vostra situazione?
«Sono quasi due anni che vedo il bambino un'ora a settimana alla presenza di un educatore. L'educatrice che c'era prima aveva dichiarato il falso ed inoltre conosceva i genitori della mia ex compagna. La mia ex inoltre è diventata inoltre molto amica con l'assistente sociale. Anche lei ha scritto nelle relazioni cose che non sono vere».

Perché visite di un'ora a settimana e perché in presenza di un educatore?
«Perché secondo loro io manipolavo il bambino. Come ho anche dichiarato, ero infastidito dal fatto che frequentasse il marito di sua madre, che ci giocasse, avevo paura che diventasse lui la figura paterna. La mia compagna, a quanto mi è stato detto, ha dichiarato che invece il bambino piangeva perché voleva giocare insieme al marito».

Cosa dice suo figlio?
«Lui continua a dirmi che vuole restare da me, che gli manca casa nostra».

E' più stato a casa sua?
«No, l'assistente sociale ha vietato anche di andare dalla nonna, mia madre, che lo sta incontrando un'ora ogni due settimane in presenza di un educatore. Anche lei ha dovuto rivolgersi ad un avvocato per poterlo vedere di più. La mia ex compagna non lo portava nemmeno più e i servizi non volevano che venisse perché c'ero io presente. Quando mio figlio veniva su io dovevo organizzandomi la giornata e fare 30 km da casa fino ad Aosta per non incontrarlo».

Chi ha fissato tutte queste regole?
L'assistente sociale.

Cosa si aspetta adesso?
«Il percorso è ancora lungo. Mi volevano anche togliere la patria potestà. Quando sono andato a Torino a parlare con il giudice mi avevano detto che solitamente dopo sei mesi o un anno le ore da trascorrere con mio figlio sarebbero aumentate e le visite protette sarebbero state tolte. Invece tutto è andato in mano ai servizi sociali e i mesi di visite protette sono a mano a mano aumentati con una scusa o con l'altra. Ora vorrebbero che mi riappacificassi con il marito e con i parenti».

C'è stato uno scontro verbale o fisico con il marito?
«Fisico no, verbale sì. C'è molto conflitto».

Con suo figlio, davanti all'educatore, hai mai parlato male del nuovo compagno?
«No».

Per vedere suo figlio per più tempo dovrebbe quindi riappacificarti?
«Ho chiesto cosa c'entrasse il mio rapporto con lui con il poter trascorrere delle ore in più con il bambino. Il bambino sta patendo, vorrebbe vedermi di più, non ho nemmeno la possibilità di programmare delle attività con lui per il suo benessere».

Le feste come le trascorrete?
«Il giorno del mio compleanno l'ho visto con una visita protetta in una struttura. Poi durante l'estate lo vedo all'esterno, sempre un'ora a settimana, a volte in un parco giochi sempre ad Aosta. Non posso telefonargli. Per il suo compleanno l'ho potuto vedere un'ora sempre in presenza dell'educatore, che è una brava persona. Non ho invece più fiducia nell'assistente e nella psicologa».

Il percorso formativo lo può seguire?
«Sì posso parlare con le maestre e informarmi sulla situazione a scuola, però non posso andarlo a prendere a scuola. L'ho fatto solo due volte in questi anni, una delle quali per vedere la recita di Natale ed ero insieme all'educatore».

Quante risorse economiche hai investito per difendere il rapporto con suo figlio?
«Tanto, avrò speso 7-8mila euro tra avvocati e procedimenti. Più le spese per andare avanti e indietro tutte le settimane per vedere mio figlio, comprare regali e vestiti. Nei quattro anni in cui l'ho cresciuto a casa ho sempre pagato io mentre la madre non ha dato niente».

E raggiungere un accordo con la tua ex compagna?
«Lei non ha mai voluto. Volendo si potrebbe trovare una intesa tra avvocati, scrivere al tribunale e far togliere gli assistenti».

Quindi ora un assistente sociale programma, regola e gestisce la vita sua e di suo figlio perché ritengono che lei manipoli il bambino, ma se trovaste un accordo tutto questo cesserebbe?
«Sì, con l'accordo sì».

E' quindi solo una questione burocratica?
«I servizi non vorrebbero perché c'è ancora troppa conflittualità, ma non stanno guardando più al benessere del bambino. Lui sta patendo tantissimo questa situazione».

Cosa vorrebbe dire all'assistente sociale?
«Quello che ho sempre detto: vorrei avere mio figlio a casa mia, come ha chiesto anche il bambino. Ancora oggi l'assistente mi dice che deve esserci collaborazione, ma ormai sono passati due anni e non so più cosa fare. Chiedono a me collaborazione, ma ogni volta trovano un problema diverso: prima la manipolazione, poi la riappacificazione con la mamma, poi quella con il marito. E se non ci riappacifichiamo la psicologa una volta ha detto che vorrebbero mettere il bambino in una comunità».

Il compleanno di suo figlio, che ha compiuto 7 anni, è stato pochi giorni fa. Cosa gli ha regalato?
«Due paia di pantaloni e una divisa da Carabiniere che a lui piace».

Vuole bene a suo figlio
«Sì».

Se le dicessero di stare buono e tranquillo o altrimenti il bambino andrebbe in comunità, lei cosa farebbe?
«Starei buono e tranquillo, come sto facendo ora.»

 

 

 

 

Marco Camilli

 

 

 

 

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